Dato che il concetto è plurale, il dibattito sulla disuguaglianza avviato da Domani si sta sviluppando evidenziandone le diverse dimensioni (ad esempio, quella relativa all’istruzione).

È utile anche riflettere su come le disuguaglianze possano intrecciarsi con altre dimensioni relative alla qualità dello sviluppo. In questa sede, si propone qualche spunto derivante dalla letteratura economica che si occupa di come le disuguaglianze interagiscono con economia sommersa (o lavoro nero) e criminalità (in particolare, quella “organizzata”). Il tema è centrale nel contesto italiano e suggerisce alcune riflessioni, evidenziate in chiusura del contributo, in merito all’impostazione del Pnrr.

L’economia nascosta

Un primo luogo, l’economia sommersa può incidere sulla misurazione della disuguaglianza. L’esistenza di “sommerso” (e relativa evasione fiscale) implica che una parte dei redditi non sia registrata dalle statistiche prodotte con dati amministrativi (per esempio, dichiarazioni dei redditi).

È anche difficile immaginare che nelle indagini campionarie, condotte con interviste, i cittadini dichiarino redditi che percepiscono in nero. Come noto, l’Italia ha un alto livello di economia “non osservata” (17,5 per cento del Pil contro 2,3 per cento dell’Olanda o 6,7 per cento della Francia, secondo l’Ocse).

Non ci sono motivi per pensare che l’evasione sia uniforme lungo la distribuzione del reddito ed è quindi probabile che una percentuale elevata di sommerso intacchi le statistiche sulla disuguaglianza, sottostimandola se i ricchi evadono più dei poveri, e sovrastimandola in caso contrario. La letteratura empirica suggerisce che in Italia sia più plausibile la prima ipotesi.

Il reddito delle fasce più ricche è composto prevalentemente da reddito da capitale (rendite finanziarie e/o immobiliari) e da lavoro autonomo, fonti per cui esistono maggiori possibilità “tecniche” di evadere il fisco rispetto ai lavoratori dipendenti, che occupano invece le fasce più basse della distribuzione.

Secondo la Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva (2021), la propensione all’evasione del reddito Irpef da lavoro dipendente è del 2,8 per cento (da lavoro irregolare), mentre è pari al 66,9 per cento per il reddito da lavoro autonomo e impresa. Pertanto, il livello reale delle disuguaglianze nel nostro paese potrebbe essere maggiore di quello evidenziato dalle statistiche.

Meno risorse alle fasce povere

A parte le questioni di “misura”, la letteratura si è occupata anche della possibile relazione tra estensione dell’economia sommersa e ampiezza delle disuguaglianze. Per le regioni italiane, questa correlazione è evidenziata in figura (se la presenza di sommerso fa sottostimare le disuguaglianze, la relazione reale è più forte). La correlazione non dice nulla di una eventuale relazione causale e della sua direzione.

Un possibile approccio è il seguente: la polarizzazione del reddito alimenta un sentimento di sfiducia nella società e nelle istituzioni che può favorire il non rispetto delle norme e alimentare un disincentivo a finanziare programmi pubblici (cioè, un incentivo a evadere le tasse).

Ci sono anche ragioni che possono suggerire una direzione inversa (dall’economia sommersa alla disuguaglianza). Ad esempio, un elevato livello di sommerso riduce le entrate fiscali e quindi mina la capacità di fornire beni e servizi pubblici; tra questi l’istruzione, con effetti negativi sulla mobilità sociale.

Maggiore evasione fiscale significa minori risorse da destinare alle fasce povere, cioè minore capacità di redistribuire. Inoltre, evadere le tasse riduce la pressione competitiva sulle aziende, disincentivando l’innovazione e favorendo attività di rent-seeking, ad esempio volte a salvaguardare poteri monopolistici che favoriscono i profitti a discapito dei consumatori, aumentando la disuguaglianza.

La criminalità

Lo stesso tema si pone per la relazione tra criminalità organizzata e disuguaglianza: la correlazione è evidente (figura), ma resta ambigua la direzione di un’eventuale relazione causale. Nella teoria economica della criminalità gli individui allocano il tempo tra mercato e attività criminali confrontando il rendimento atteso delle due opzioni, tenendo conto della punizione attesa (data dal prodotto tra probabilità di essere punito ed entità della multa).

In questi modelli, la presenza di una forte disuguaglianza aumenta gli incentivi a delinquere perché individui a basso reddito vivono a contatto di individui ad alto reddito che possiedono beni (o accedono a servizi) che loro non possono raggiungere con il reddito legale. Di qui, l’incentivo a raggiungere quell’obiettivo attraverso strade illegali.

Ma ci sono anche ragioni per ipotizzare una relazione inversa (la criminalità organizzata aumenta le disuguaglianze). La presenza di criminalità in alcune zone spinge i ‘ricchi’ a scegliere di vivere in altre zone, creando una segregazione fisica che può perpetuare o esacerbare le differenze di status economico e sociale. Gli studenti poveri vivranno in zone a rischio criminalità, con scuole peggiori, una peggiore istruzione e quindi peggiori prospettive di lavoro. Studi condotti all’estero mostrano come la presenza di criminalità possa diminuire il tasso di partecipazione al sistema educativo e i risultati scolastici, e i dati italiani confermano questa tendenza. Infine, proprio nelle regioni italiane la criminalità minorile risulta correlata con la disoccupazione giovanile.

La difficoltà di individuare relazioni causali univoche deriva dal fatto che i fenomeni sono legati tra loro. Uno studio basato sulla teoria dei giochi evidenzia come la collusione tra potere pubblico e organizzazioni criminali possa essere più probabile in società polarizzate; se questi due attori colludono, i cittadini (soprattutto i più deboli) sono ulteriormente spogliati delle loro ricchezze e la disuguaglianza si perpetua. L’impressione è che esistano complesse e non univoche relazioni tra disuguaglianza, marginalità sociale, debolezza istituzionale e criminalità attraverso le quali i diversi fattori si rafforzano reciprocamente in un circolo vizioso.

Questa tendenza può sfociare in società disuguali, caratterizzate da istituzioni deboli e corrotte, e con poche opportunità di uscire da questa trappola in cui la disuguaglianza convive con il crimine e l’economia sommersa. Sottovalutare queste relazioni preclude la possibilità di cogliere nella loro complessità i divari nei sentieri di sviluppo regionali che caratterizzano in particolare il sud Italia.

La pandemia impatta negativamente in più nodi del circolo vizioso: se da un lato evidenzia ed amplia le disuguaglianze, dall’altro è un’occasione di business per la criminalità organizzata, che ha “soccorso”, o si è accaparrata, le attività in difficoltà. Il Pnrr è un’occasione per frenare il circolo vizioso e tamponare il peggioramento causato dalla pandemia.

Le risorse, sia negli investimenti puramente infrastrutturali che negli interventi per i servizi pubblici (scuole, asili), dovrebbero essere indirizzate in modo consistente verso il meridione, con finalità perequative tra nord e sud, ma anche allo scopo di ridurre i fenomeni di marginalità territoriale e sociale interni al mezzogiorno.

Come segnalato da Viesti in audizione alla Camera, al momento non esistono garanzie che almeno il 40 per cento delle risorse sia effettivamente investito nelle regioni del Sud (come in teoria deciso dallo stesso governo) e l’impatto territoriale dipenderà dall’esito combinato di più processi (tempi di cantierabilità dei progetti, capacità di progettazione e spesa delle amministrazioni locali, etc…) che influiranno sia quantitativamente che qualitativamente sull’efficacia e sull’effettiva ripartizione territoriale degli interventi. Inoltre, sarebbe cruciale evitare che il Pnrr veicoli denaro e lavoro verso aziende legate alla criminalità organizzata, ma lo snellimento delle procedure di appalto e subappalto non promette nulla di buono in tal senso. 

L’autore è professore associato presso l’Università di Macerata in economia pubblica

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