Uno sguardo sull’Italia fra dieci anni. A questo ci fanno pensare gli ultimi dati sulla povertà resi noti dall’Istat a inizio marzo: ci sembrano dire sin da ora quale è l’effetto che interventi inadeguati o poco centrati possono avere sul fenomeno della povertà. Le ultime rilevazioni a campione dell’Istat sui consumi ci dicono che dal 2019 al 2020 si è passati da 4,6 milioni a 5,6 milioni di persone sotto la soglia di povertà assoluta, dal 7,7 per cento al 9,4 per cento delle popolazione: i dati sono preliminari, ma si tratta del valore più alto negli ultimi quindici anni ed è senz’altro imputabile al tracollo economico causato dal Covid-19.

Questo trend conferma quanto era già emerso osservando il numero di persone che si erano rivolte ai centri e servizi Caritas. Nei soli mesi di marzo-maggio 2020 l’incremento era stato del 105 per cento rispetto alla media del 2019. I segnali sono chiari anche cambiando lente di osservazione e utilizzando indicatori alternativi al consumo. Nel 2019, il 20,1 per cento delle persone residenti in Italia avevano un reddito netto equivalente inferiore a 10mila euro circa e pertanto venivano definite a rischio di povertà. Il 7,4 per cento si trovava in condizioni di grave deprivazione materiale. Il 10 per cento viveva in famiglie a bassa intensità di lavoro. Considerando la quota di individui che si trovano in almeno una delle condizioni di vulnerabilità considerate, otteniamo un indicatore che cattura l’incidenza di povertà o esclusione sociale. Anche se nel 2019 questa quota era in calo per il terzo anno consecutivo, i dati confermano una situazione di continuativa difficoltà da parte delle famiglie nel garantirsi un crescente flusso di risorse economiche.

I dati aggregati dei bilanci delle famiglie raccolti da Banca d’Italia ne danno ulteriore prova. Il reddito totale reale delle famiglie era sceso per la prima volta sotto il livello della fine degli anni Ottanta, già a partire dal 2012, trainato da un forte calo dei redditi da lavoro. A sorprendere sono anche i dati Ocse che fotografano un paese che ha oramai perso il primato di paese di risparmiatori, con tassi di risparmio delle famiglie crollati dal 16,16 per cento nel 1995 al 2,55 per cento nel 2019. Con i dati di Banca d’Italia, si stima anche che almeno 10 milioni di adulti abbiamo risparmi accumulati inferiori ai 2.300 euro. Questa somma è appena sufficiente a un adulto residente al nord Italia, e di età compresa fra 18 e 59 anni, per sostenere una spesa minima di beni e servizi essenziali per poco meno di tre mesi. Una spesa inferiore porta a essere classificato, dall’Istat, come in stato di povertà assoluta. Con una crisi che dura da ben più di tre mesi il cerchio si chiude.

La povertà di domani

I dati Istat di marzo 2021 segnalano l’aumento maggiore della povertà al nord, fra gli occupati e fra le classi di età più giovani. Questi dati potrebbero sorprendere, ma si tratta però di un processo in corso da tempo. Il cosiddetto “modello italiano di povertà” (famiglie numerose, con disoccupati e con anziani, principalmente nel mezzogiorno) ha almeno da un decennio lasciato il posto a processi di impoverimento più forti nelle regioni settentrionali, nelle famiglie con pochi figli e anche fra gli occupati, con stranieri residenti e i giovani fra le fasce più colpite. L’attuale incertezza economica e lavorativa delle nuove generazioni si compone di lavori assenti, saltuari, precari e poco remunerativi e, di conseguenza, di accumuli previdenziali insoddisfacenti.

La caduta in povertà di un numero sempre più consistente di persone sarebbe evitabile anche attraverso misure straordinarie che tengano conto di come stiano cambiando i profili delle persone a rischio di impoverimento. Il piano statunitense appena approvato prevede uno stimolo di spesa di circa 1.900 miliardi di dollari. Secondo le stime di Center on Poverty and Social Policy questo piano ridurrebbe nel 2021 il tasso di povertà nel paese del 30,8 per cento, evitando che 12 milioni di persone diventino povere. Anche nel nostro paese occorre lavorare da subito all’adozione di misure inclusive, semplici e tempestive. Solo così si potrà evitare che il quadro tracciato dall’Istat per il 2020 si consolidi.

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