In pensione anticipata a 58 anni se hai due figli o più, in pensione a 59 anni se ne hai uno solo, in pensione a 60 «negli altri casi».

Il governo Meloni ha ristretto la possibilità per le donne di andare in pensione anticipata, lo ha fatto non dicendolo apertamente, ma dal prossimo anno una donna di 58 anni con un figlio o senza figli non potrà andare in pensione come succedeva fino a quest’anno.

Il testo della legge di bilancio non era ancora pronto fino alla metà del pomeriggio di ieri e il comunicato che spiega le modifiche al sistema pensionistico è un gran pasticcio. La nota ufficiale diffusa dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, alle 00.35 di ieri, dopo l’approvazione notturna della legge di bilancio spiegava al capitolo pensioni: «Opzione donna – Prorogata per il 2023 opzione donna con modifiche in pensione a 58 anni con due figli o più, 59 con un figlio, 60 altri casi. Opzione donna, si ricorda, è riservata a particolari categorie: Caregiver, lavori gravosi, disabili».

Qui c’è un primo pasticcio perché non è vero che Opzione donna è riservata a particolari categorie, per queste situazioni è prevista l’Ape sociale. A richiesta di spiegazioni, dal ministero fanno capire semplicemente l’obiettivo: «Il senso è che ci sono limitazioni all’accesso». La platea che può accedere al beneficio viene ristretta e c’è «un décalage in base ai figli».

Décalage in base ai figli

Il secondo problema è che, sempre secondo quanto viene spiegato dal ministero e che speriamo sia smentito dal testo della legge di bilancio, il décalage in base ai figli è a prescindere dalla situazione famigliare specifica.

Non si tratta, quindi, di offrire una uscita anticipata a donne che si occupano dei loro figli perché in condizioni di difficoltà particolari, ma anche per quelle che si devono occupare di genitori anziani, situazione che sarebbe più diffusa nella fascia di età di chi va in pensione, anche banalmente per questioni anagrafiche.

Opzione donna prevede il ricalcolo dell’assegno con il sistema contributivo e quindi ha sempre comportato assegni poco generosi perché le donne in Italia hanno carriere più discontinue degli uomini per una discriminazione strutturale sul mercato del lavoro, ma è comunque scelta in quasi i due terzi dei casi da donne che scelgono o sono costrette alla cura famigliare.

Opzione donna non è mai stata dunque una soluzione ai problemi di conciliazione tra famiglia e professione che la premier Meloni ha più volte riconosciuto esistere in Italia. Tuttavia fino all’anno passato con 35 anni di contributi le donne lavoratrici autonome potevano andare in pensione a 59 anni e le lavoratrici dipendenti a 58 anni. Ora questa differenziazione decade e invece viene adottato un criterio che a meno non venga modificato con la stesura definitiva del testo è legato solo alla scelta o alla condizioni di maternità – «gli altri casi» sono le donne che non hanno figli, appunto – e non alla concrete condizioni famigliari. Una donna di 58 anni che prima poteva andare in pensione anticipata dal 2023 lo potrà fare solo se ha due figli o più.

Domande senza risposta

Ci sono molte domande a cui sarebbe bello che il governo rispondesse: perché i requisiti per la pensione anticipata di un uomo sono considerati sulla base solo delle caratteristiche del suo lavoro: per esempio se la sua professione è considerata usurante e invece quella delle donne è basata sul numero della prole che ha deciso di procreare?

E perché tra le cittadine, una donna che segue un genitore anziano e non ha figli dovrebbe avere il diritto di andare in pensione più tardi rispetto a una donna che ha due figli magari anche maggiorenni che le possono dare una mano con il genitore anziano? Perché in un paese in cui la maternità non è conciliata con il lavoro diventa un requisito per lasciare il lavoro?

 

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