La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, conferma di avere un problema nel rapporto con la stampa. L’ultimo scontro è avvenuto durante la conferenza stampa di presentazione della legge di Bilancio: iniziata alle 10.15 e affollata di ministri e membri di sottogoverno, per più di un’ora la premier ha illustrato la manovra, dando poi la parola al vicepremier e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, a quello dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, a quella del Lavoro, Marina Calderone, e al viceministro Maurizio Leo.

Poco – come successo anche nella conferenza stampa precedente – lo spazio per le domande: appena sei, a fronte delle molte richieste da parte dei tanti giornalisti in sala, poi la premier avrebbe voluto lasciare la conferenza stampa. La ragione accampata è sempre la stessa: impegni istituzionali, in questo caso un incontro alle 12 a Confartigianato. Solo il rumoreggiare dei giornalisti ha costretto Meloni a fermarsi per rispondere a un’altra manciata di domande.

Il fastidio, però, è stato evidente e la premier non ha fatto nulla per mascherarlo, lasciandosi scappare una frase a suo modo eloquente: «Non siete stati così coraggiosi in altre situazioni». Pur incalzata ad argomentare, non ha voluto spiegare a cosa si riferisse con questa allusione («eh, lo so io a cosa mi riferisco», si è sentito però al microfono).

Questa nuova sgrammaticatura tradisce lo stato d’animo della presidente del Consiglio. Meloni, infatti, sembra vittima di una specie di sindrome da accerchiamento, a cui risponde troncando ogni confronto.

La fragile scusa di impegni già fissati, però, non può continuare a reggere: se davvero è una questione di impegni, l’agenda andrebbe meglio organizzata per consentire il tempo del confronto con la stampa. Se invece il problema sono le domande, porle è un diritto dei giornalisti. Le risposte, invece, sono una responsabilità politica.

La querela a Domani

Non c’è solo il fastidio dimostrato in conferenza stampa, però. La presidente del Consiglio ha dimostrato la sua ostilità nei confronti dell’informazione anche utilizzando lo strumento giudiziario. È dei giorni scorsi, infatti, la chiamata in giudizio di Domani, in sede sia civile che penale.

I fatti risalgono all’ottobre 2021, quando il nostro quotidiano ha pubblicato un articolo a firma di Emiliano Fittipaldi, in cui si è dato conto di alcuni verbali di Domenico Arcuri, ex commissario straordinario all’emergenza Covid. Sentito dai pm romani in veste di indagato per abuso d’ufficio per la compravendita di una enorme partita di mascherine dalla Cina, Arcuri aveva fatto i nomi di alcuni parlamentari che lo avevano contattato per promuovere imprenditori. Tra questi, l’ex numero uno di Invitalia aveva detto che «Giorgia Meloni il 22 e il 27 marzo è in copia all’offerta di tale Pietrella, per mascherine chirurgiche».

Domani aveva scoperto anche una telefonata di Meloni ad Arcuri prima dell’invio della mail e la sintesi giornalistica è stata: «Arcuri dice a verbale che la leader di Fratelli d’Italia avrebbe raccomandato un’offerta di terzi». Meloni ha confermato di avere chiamato Arcuri e non ha negato di essere in copia nella mail, ma contesta il termine «raccomandazione».

Per questo il direttore Stefano Feltri e Fittipaldi sono stati rinviati a giudizio dal gip di Roma e la querela porta la firma di Meloni e del suo avvocato, che è anche l’attuale sottosegretario alla Giustizia in quota Fratelli d’Italia, Andrea Delmastro Delle Vedove.

All’epoca dei fatti Meloni era la leader di FdI, ma sembra intenzionata a non rimettere la querela e a portare avanti il processo anche ora che siede a palazzo Chigi.

Domani ha chiesto una risposta ufficiale e l’ha ottenuta dall’avvocato Luca Libra che ora assiste la premier: «Le querele sono state presentate dall’onorevole Giorgia Meloni in qualità di cittadino, giornalista, politico e leader dell’opposizione che, dopo essere stato ampiamente diffamato e denigrato a mezzo stampa, ha scelto legittimamente di interrogare la magistratura per chiedere il rispetto degli stessi diritti garantiti a tutti i cittadini».

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