Negli ultimi due anni la crescita dell’economia italiana è stata superiore in termini di Prodotto interno lordo (Pil) a quella dei principali paesi dell’Ue, ma già dai primi dati del 2023 si nota che questa crescita è in fase di forte rallentamento. Il 28 aprile scorso l’Istat ha pubblicato una stima preliminare della crescita del Pil italiano nei primi tre mesi del 2023: tra gennaio e marzo l’incremento è stato dello 0,5 per cento rispetto all’ultimo trimestre del 2022 e dell’1,8 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Secondo i dati Eurostat, nei primi mesi del 2023, Irlanda, Lettonia, Portogallo e Spagna hanno fatto meglio dell’Italia.

Dopo la pandemia, i maggiori risparmi delle famiglie e il desiderio di riprendere una vita normale hanno sostenuto i consumi portando ai risultati positivi del 2022, ma ora sulla nostra economia pesano gli effetti dell’inflazione, della politica monetaria e della incertezza causata dalla guerra russo-ucraina, effetti che continueranno ancora per molti mesi. L’inflazione sta rallentando grazie alla diminuzione dei prezzi alla produzione e al consumo, ma sta rallentando poco.

Il rapporto di previsione di Prometeia, presentato il 7 luglio, cerca di analizzare la natura di questa inflazione e le sue conclusioni sono che, escludendo energia e alimentari, la domanda ha portato alla trasmissione degli impulsi inflazionistici a valle, cioè l’aumento dei costi è stato traslato sui prezzi. Inoltre, anche l’aumento del costo del lavoro e dei profitti hanno sostenuto l’inflazione. Comunque, se non ci sono altri costi da scaricare sui prezzi l’inflazione può diminuire abbastanza rapidamente.

Non possiamo tuttavia ignorare la relazione annuale dell’Istat, presentata nei giorni scorsi, che ci ha ricordato che l’inflazione in Italia resta ancora superiore di 1,9 punti rispetto alla media dei paesi dell’area euro e che continuerà a incidere sul potere di acquisto delle famiglie, quindi sui consumi.

Inoltre, l’Istat segnala che la retribuzione media lorda annua per dipendente nel 2021 risultava pari a 27.000 euro, inferiore del 12 per cento a quella della media Ue e del 23 per cento a quella della Germania, dato aggravato dal fatto che negli ultimi 10 anni il potere di acquisto delle retribuzioni è sceso del due per cento, mentre negli altri Paesi Ue è aumentato del 2,5 per cento. Infine, l’ISTAT certifica che la produttività media annua delle imprese italiane nel 2020 è appena dello 0,1 per cento. Tutti elementi che rallentano la nostra economia.

Le possibilità di crescita

Vediamo ora se la crescita dell’economia italiana degli anni scorsi può continuare anche nei prossimi anni, grazie anche al calo dell’inflazione. Innanzitutto dobbiamo notare che abbiamo una manifattura in sofferenza nel contesto di un commercio mondiale che diminuisce. Le costruzioni, grazie agli incentivi, hanno sostenuto la crescita degli anni scorsi, ma ora tali incentivi sono terminati. Solo i servizi, compreso il turismo, sono tornati ai livelli pre-crisi.

Questi dati (fonte Istat) ci dicono che siamo in una fase di stagnazione con crescita nulla del Pil nel secondo trimestre 2023. Un andamento che continuerà anche oltre per i modesti consumi delle famiglie. Nel medio termine non possiamo contare sugli extra risparmi che sono detenuti dalle persone più ricche con bassa propensione al consumo, quindi si prevede un ulteriore calo nei consumi. Mancano quindi gli elementi che hanno il Pil negli anni passati..

Ci si chiede allora se la finanza pubblica possa sostenere un percorso di crescita. Purtroppo su questo punto dobbiamo osservare che lo scenario è fortemente cambiato. I tassi all’emissione sono aumentati di oltre 300 punti base in 12 mesi e la Bce non compra più titoli. Una situazione particolarmente grave per il nostro paese frenato da un debito pubblico che è il doppio di quello della media dell’Ue.

Inoltre, l’anno prossimo saranno stabilite nuove regole europee di bilancio che di certo obbligheranno l’Italia mettere in atto strumenti per ridurre il proprio indebitamento. Dunque una situazione molto difficile per il bilancio pubblico che non potrà certo sostenere la riduzione del gettito fiscale prevista dai programmi del governo. In questo quadro, le prospettive di crescita anche a medio termine possono venire solo dalla realizzazione del Pnrr, sul quale, però, pesano le incertezze del cronogramma e molti rischi.

Il quadro internazionale

Per una visione più corretta dello stato dell’economia italiana non possiamo evitare un breve cenno ad alcuni dati che riguardano l’economia mondiale. Un primo dato favorevole è che l’inflazione si sta riducendo sia nei paesi industrializzati come in quelli emergenti, accompagnata da una diminuzione dei prezzi delle materie prime, compreso il gas, in parte dovuto alla contrazione del commercio mondiale.

Anche i dati dell’economia globale continuano a tenere in termini di Pil sia negli Stati Uniti che nell’Ue, anche grazie a un mercato del lavoro positivo in termini di occupazione e salari (elaborazione Prometeia su dati del Central planning bureau). La domanda che si pone la maggioranza dei paesi è se in queste condizioni è possibile evitare una recessione. Sui mercati c’è molta preoccupazione ma i maggiori centri di ricerca econometrica (come Prometeia) propendono per un “soft landing” cioè non ci sarà recessione.

Quale politica per il governo?

Questa breve analisi suggerisce al governo innanzitutto realizzare pienamente il Pnrr, poi di adottare una politica economica e finanziaria molto accorta che deve avere come obiettivo quello di un bilancio dello stato basato su principi etici e di eguaglianza sociale. Le entrate fiscali devono essere il prodotto di una riforma basata su una tassazione di tutti i redditi personali con aliquote fortemente progressive e senza condoni o flat tax, al fine di attuare una redistribuzione equa della ricchezza riducendo le disuguaglianze sociali, senza cedere alle pressioni delle lobby.

La spesa deve migliorare il welfare e prevedere investimenti in opere pubbliche che assicurino un ritorno del capitale investito oltre alla resa di un servizio ai cittadini. Si abbandonino per ora i costosi progetti del presidenzialismo e dell’autonomia differenziata. Le riforme costituzionali si fanno quando i conti sono a posto, cioè quando non si dipende più dai sottoscrittori del nostro debito pubblico o dalle regole dell’Unione europea.

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