La storia italiana degli ultimi 30 anni mostra un progressivo declino sul piano economico, sociale, culturale e politico. Dalla fine degli anni ottanta l’economia si è ispirata ai principi del liberismo abbandonando quelli del liberalismo keynesiano.

È stata guidata verso privatizzazioni e liberalizzazioni senza precisi obiettivi economici, ha favorito la finanza speculativa e aumentato le disuguaglianze sociali, non ha goduto dei necessari investimenti in ricerca e sviluppo, sia da parte dello stato che delle imprese private, ancora oggi formate da una prevalenza di piccole imprese incapaci di investire nella ricerca e nella innovazione.

Si sono distrutte le scuole professionali che formavano eccellenti operai specializzati. Molte imprese hanno delocalizzato all’estero la produzione e le maggiori hanno posto la loro sede in paradisi fiscali europei. Secondo i rapporti dell’Istituto Commercio Estero, le esportazioni italiane, il 3,8 per cento del commercio mondiale nel 1980, ora rappresentano solo il 2,9 per cento.

La produttività del nostro sistema è molto bassa e basata su prodotti che raramente hanno caratteristiche innovative. Tra il 1996 e il 2013 l’Italia, tra i 28 paesi dell’Unione europea e le 10 principali economie Ocse, è il paese che ha registrato le più basse dinamiche di crescita del Pil pro capite con appena il +2,1 per cento, lontana da Francia (+18 per cento), Spagna (+24,5 per cento), Germania (+25,4 per cento) e Regno Unito (+31,9 per cento). Il rapporto debito pubblico/Pil è l’indicatore della solidità economica di un paese. Nel 1990 questo rapporto era pari al 98 per cento, nel 2022 era pari al 144 per cento, mentre la media dei paesi Ue era pari all’84 per cento.

Il declino in campo sociale

Tra gli Stati Ue, l'Italia è l'unico in cui i salari sono scesi tra il 1990 e il 2020 del 2,9 per cento. La sanità ha sofferto soprattutto dalla costituzione delle regioni, alle quali è passata la gestione dell’assistenza sanitaria, spesso con aumentato dei costi, e da un progressivo passaggio al privato che ha come principale scopo quello del profitto e non quello della qualità del servizio, come disposto dall’articolo 32 della Costituzione, che include anche il servizio di assistenza gratuito agli indigenti. Sulla scuola, università e ricerca i fondi si sono progressivamente ridotti lasciando nascere università telematiche le cui lauree hanno posto seri dubbi sul loro valore scientifico.

Il declino culturale

Circa la vita culturale, da una ricerca dell’Istat e del professor Tullio De Mauro del 2008, risulta che l’Italia, nel confronto internazionale con i partner dell’Unione europea, risulta indietro su quasi tutti gli indicatori di partecipazione culturale. Parliamo, ad esempio, della propensione alla lettura dove siamo ai livelli più bassi, alla partecipazione a conferenze e concerti. Una delle principali ragioni è il livello di scolarizzazione (anche questo tra i più bassi nella Ue). Nel frattempo si sono progressivamente ridotti i sussidi dello stato e delle imprese private alle iniziative culturali.

Il declino politico

Infine sul piano politico abbiamo visto un progressivo scioglimento dei partiti che erano anche scuole di pensiero e di formazione politica, sostituiti da partiti basati sul nome di una persona, di cui Berlusconi è stato l’esempio più eclatante, una forma dove l’ideologia viene sostituita da interessi personali e dalla ricerca di consenso attraverso i favori a imprenditori, artigiani, piccoli professionisti, tassisti, balneari o altre lobby.

Una politica, questa, che ha impedito una seria lotta alla evasione fiscale e l’approvazione di una legge sul conflitto di interessi o sulla concorrenza. I partiti o movimenti progressisti non sono mai riusciti a fermare questa deriva politica,

La commedia in atto

Il teatrino di Palazzo Chigi offre un nuovo spettacolo altrettanto desolante.

Non possiamo aspettarci la soluzione dei problemi che ancora affliggono il paese per fermare questo lento declino che ci porterà ad essere sempre più colonizzati. In campo economico è in buona parte avvenuto con il passaggio della proprietà di alcune nostre importanti aziende a investitori esteri.

Ci vorrebbe un nuovo rinascimento, ma tra le persone alle quali è affidato il governo del paese non si vedono i Leonardo, i Michelangelo, i Piero della Francesca, i Brunelleschi e neppure i Cosimo de Medici.

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