La promessa è questa: spendere 191,5 miliardi di euro più trenta miliardi di un fondo complementare per arrivare nel 2026 a un aumento di Pil del 3,6 per cento e di occupazione del 3 per cento. Queste sono le stime, e quindi la grande promessa politica, del nuovo piano di ripresa e resilienza che il governo Draghi ha esaminato nel consiglio dei ministri di oggi e che sarà presentato alle camere la settimana prossima.

La struttura resta quella impostata dall’esecutivo precedente: sei missioni, digitalizzazione e innovazione (che però comprende anche i fondi per il turismo), rivoluzione verde e transizione ecologica, infrastrutture e mobilità sostenibile, istruzione e ricerca, inclusione e coesione sociale. Buona parte delle promesse, però, sono legate non tanto agli investimenti, ma anche alle riforme.

Le riforme

La novità, intanto, è che a luglio arriva la prima legge annuale sulla concorrenza, quella prevista dal 2009 e che nell’anno 2021 deve ancora vedere la luce. La legge avrà anche una parte di semplificazioni visto che punta a spingere la produzione di rinnovabili che è frenata dall’iter burocratico e conterrà misure per le gare dei servizi pubblici locali, trasporto compreso.

Se la legge sulla concorrenza è promessa per luglio, la riforma della giustizia o meglio la doppia riforma sul fronte civile e su quello penale è attesa per settembre, ma i decreti attuativi dovrebbero arrivare nel 2022 assieme alla riforma della giustizia tributaria, e infine l’impatto sui processi «potrebbe verosimilmente stimarsi alla fine del 2024».

Nella sostanza la riforma dovrebbe semplificare la notifica di atti processuali e garantire tempi più stringenti per le varie fasi del processo e più selettività dell’azione penale e aumentare e incentivare il ricorso ai riti alternativi. In particolare, la riforma vuole assicurare che al giudizio di appello, «individuato dalle analisi sul campo come una fase particolarmente critica in specie per la prescrizione del reato, si giunga mediante un accesso ragionevolmente selettivo».

La prima riforma che sarà messa in campo sarà quella della pubblica amministrazione che è la base di tutto il piano. Il Recovery, si legge nell’introduzione del piano, comprende «quattro importanti riforme di contesto» e cioè concorrenza, giustizia, semplificazione e Pa, appunto. Ma è prevista anche una riforma fiscale, attesa per la seconda parte dell’anno «che affronti anche il tema delle imposte e dei sussidi ambientali». La riforma del lavoro che in tanti si aspettavano viene presentata come semplici interventi di «modernizzazione del mercato del lavoro».

Semplificazione

Per la semplificazione l’esecutivo creerà una struttura per la semplificazione normativa, per «dedicare attenzione continuativa all’obiettivo di semplificazione». La struttura ad hoc lavorerà in raccordo con il Dipartimento Affari Giuridici, coordinata dal ministro della Pubblica amministrazione.

Rispetto alla prima versione vengono calcolati anche gli impatti delle diverse missioni su giovani e donne, per cui tuttavia non vengono stanziati risorse aggiuntive ad hoc.

Digitalizzazione

Il primo capitolo del piano nazionale di ripresa e resilienza, quello dedicato alla digitalizzazione, è diviso in tre grandi voci di spesa: la prima finanzia l’innovazione nella pubblica amministrazione, la seconda quella nel mondo delle imprese, il terzo l’innovazione nel settore del turismo. Alla Pa vanno 10,1 miliardi, che saranno utilizzati soprattutto per la creazione dell’infrastruttura sicura del cloud pubblico e per finanziare la migrazione dei dati di tutta la Pa, ma anche per estendere i servizi digitali e formare il personale e i cittadini a nuove competenze digitali. A questo obiettivi generali si aggiunge quello, cruciale, della digitalizzazione della giustizia. Al ministero della Transizione digitale sarà creato un team che si occuperà di selezionare i fornitori di servizi cloud adatti in base alla tipologia di dati gestiti dalle diverse amministrazioni pubbliche. Al sistema produttivo, cioè alle imprese, vanno 27,47 miliardi di euro. La maggior parte dei finanziamenti vanno a prolungare il programma di finanziamento Industria 4.0. Ma ovviamente ci sono anche i finanziamenti per la banda larga e le connessioni ultraveloci in fibra ottica 5G e poi quelli per «lo sviluppo della space economy» e i sistemi di osservazione della Terra per il monitoraggio dei territori. Inoltre, c’è anche una riforma del sistema della proprietà industriale. Mentre per turismo e cultura sono a disposizione altri sei miliardi di euro.

Transizione ecologica

La transizione ecologica è una delle missioni più importanti ed è divisa in quattro componenti. Alla voce «agricoltura sostenibile ed economica circolare» vanno 5,30 miliardi di euro. Alla transizione energetica e alla mobilità sostenibile va il grosso della torta: 26,56 miliardi di euro. Di questi 6,74 euro andranno a finanziare quelle che sono definite fonti di energia rinnovabile: 2,11 sono per l’agrovoltaico, 2,20 per la produzione condivisa delle comunità energetiche e l’autoconsumo, per gli impianti innovativi, tra cui l’offshore eolico, c’è mezzo miliardo, mentre ben 1,92 miliardi vanno per sviluppare il bio-metano.

Cinque miliardi vanno invece a rafforzare le infrastrutture energetiche. Poco meno di sei miliardi, invece, serviranno per la filiera dell’idrogeno. E invece 10,18 miliardi vanno la trasformazione del sistema del trasporto locale e soprattutto alla elettrificazione delle flotte.

Infrastrutture

Il capitolo infrastrutture vale 25,33 miliardi e punta quasi tutto sul trasporto ferroviario, che secondo le linee guida europee è considerato pienamente sostenibile. Per l’alta velocità o alta capacità sono previsti 24,97 miliardi di euro. Mentre alla logistica restano 0,36 miliardi di euro.

Istruzione e ricerca

La missione ha ottenuto 31,62 miliardi, di cui 19,18 vanno divisi tra tutti i grandi di istruzione, ma 4,6 miliardi potenzieranno asili e scuole dell’infanzia e altri 12,44 miliardi di euro andranno a finanziare il raccordo tra ricerca e impresa.

Inclusione e coesione

Alla missione inclusione e coesione sociale vanno in tutto 17,7 miliardi, di cui 6,6 sotto il cappello delle politiche per il lavoro, 8,76 per le «infrastrutture sociali», fondi alle famiglie e al terzo settore, mentre per gli interventi speciali restano 1,76 miliardi di euro visto che i fondi per le aree interne sono stati tagliati.

Salute

Al grande capitolo della salute restano poco più di sedici miliardi, di cui sette vanno a finanziare la riforma della salute territoriale e invece 9,63 la digitalizzazione e la ricerca.

 

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