Qual è il miglior capo che possiamo incontrare nella vita? Secondo me è quello in grado di portare tutti – come si dice – a bordo. Facile? No, non lo è. Il nostro successo come collega, come capo, come partner – anche in amore, certo – dipende sempre dall’incontro con il successo degli altri.

Lo dice anche l’ex Ammiraglio della Marina americana William Harry McRaven, autore del libro Fatti il letto (Piemme): quando gli altri ti danno fiducia rischiano la propria reputazione. Per questo il nostro successo dipende da chi ci dà fiducia. Un buon capo si vede da come delega e distribuisce i compiti con fiducia, sì, nelle nostre capacità. Io penso che il nostro successo però dipenda anche dal modo in cui gli altri reagiscono a ciò che avviene intorno e da come reagiamo noi.

Il capo in crisi è sempre una miniera di reazioni. Sparisce. O è troppo presente. Urla. Sbaglia. È qui che ho imparato che il successo di un pessimo capo è anche un po’ colpa nostra. perché andarsene o lasciar correre senza protestare, segnalare, fare rete con gli altri, consente a quei comportamenti di proseguire indisturbati. Anche non fare una scelta è una scelta. Non è vero che non puoi farci niente.

E io come mi sono comportata davanti a un pessimo capo che urlava? E davanti a quello che spariva senza prendere decisioni? Ho urlato anche io, non sapendo fare di meglio ai tempi. E mentre un altro capo non prendeva decisioni, io non prendevo iniziative. Non andava avanti nessuno dei due, ma ero io a perderci.

Il miglior capo della vita

Il capo che ti sostiene, che ti lascia fare, che dice «Vai!» quando noi abbiamo ancora paura di andare e, invece, ti affida responsabilità sta rischiando. Il rischio di perdere tempo in formazione di una risorsa che poi andrà via (non delegare e accentrare il lavoro su di sé rende incapaci le persone di imparare: non dare pesci ma insegnagli a pescare, quella storia lì). Il rischio di dover fare attenzione al modo in cui si distribuiscono i compiti. Il rischio di avere tempo libero per pensare alle strategie aziendali, non calati sempre nell’operatività.

Come si fa? «Ho un capo che controlla sempre tutto», mi scrivono. Bene, dico, penso alla qualità: dove c’è controllo, attenzione e cura per il lavoro la produzione mantiene standard elevati, come dicevamo qualche settimana fa. Ma non è questo il caso. «Il capo ha 80 anni ed è sempre al lavoro. Non c’è nulla che si possa fare in autonomia. Tutto deve passare da lui. Non delega mai nulla. E visto che non può fare tutto – e se ne lamenta – è spesso per colpa sua che il lavoro rallenta, che noi ci fermiamo: parlo di tempo speso male, alla fine tenerci fermi è un costo inutile».

Sono settimane che leggo mail dove il problema è spesso riconducibile al si è fatto sempre così. Sono settimane che penso che sia anche un problema generazionale. Se il tuo capo ha 80 anni non c’è un consiglio risolutivo che io possa dare. Il problema vero sono le aziende dove l’età media non è neppure così elevata, ma quell’esempio, del si è sempre fatto così, oramai ha creato danni alla cultura aziendale in pratica irrisolvibili.

Deresponsabilizzazione. Non è mai colpa mia?

Le aziende sono fermate dalle decisioni piccole. E le decisioni che vengono spostate in avanti generano un clima di insicurezza. Che ne sarà di me se non si capisce neppure cosa ne sarà di questo o quest’altro problema? E se verrà risolto. E come? Il micromanager – anche se è il capo dell’azienda – fa proprio questo: prende decisioni piccole, che includono spesso responsabilità personali. Se non è suo compito cambiare le cose, ma far andare avanti la baracca così come viene, tante decisioni da prendere saranno messe nella lista delle cose per un secondo momento. Il problema sembrerebbe essere il tempo che non ha.

Invece, un capo che non si fida di sé stesso e delle sue competenze di conseguenza non si fida nemmeno delle persone che lavorano per lui (o per lei) è probabile che quelle competenze non le sappia neppure riconoscere. Questo è il vero problema. Se un capo non sa, non può, o non riesce a fare il leader, è un capo rovesciato, guarda verso il basso perché non si sente abbastanza sicuro a guardare verso l’alto (dove dovrebbe) e allora fa solo confusione.

Ma il compito di un buon capo sarebbe semplificare attività, processi e relazioni puntando agli obiettivi aziendali. Avere un capo che fa confusione non aiuta certo a raggiungerli.


E da te in ufficio come va?
Il tuo capo è un accentratore? Un capo rovesciato? Cosa hai imparato nell’ultimo anno, difficoltà comuni a parte, nel tuo lavoro? 

Ognuno di noi ha una storia da raccontare, non solo legata a uffici che magari abbiamo avuto in comune, o a situazioni lavorative nuove.
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Ogni lunedì? inizieremo insieme la settimana. Mi siedo accanto alla tua scrivania. Chiacchieriamo un po’. Vediamo cosa c’è da fare. Insieme.

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