E’ tutto rigorosamente made in Italy il cappio nel quale famiglie e imprese sono state costrette a infilare il collo per il prezzo del gas. E’ stato annodato quel cappio una decina d’anni fa dall’Eni, la maggiore e più influente delle imprese che comprano all’ingrosso e vendono gas al dettaglio. Ed essendo quello strumento di tortura tutto italiano non ha senso che il nostro paese insista a chiedere all’Europa di imporre un price cap al prezzo del gas.

Non ha senso perché i paesi dell’Unione, a cominciare dalla Germania che a quella corda non è mai stata appesa, non hanno alcun interesse ad allentare il nodo scorsoio che strangola l’Italia.

«E’ l’Italia che dovrebbe pensare a sé e liberarsi dal cappio», dice a Domani Salvatore Carollo, ex dirigente Eni e manager nel settore dell’energia.

E’ in Italia che coloro che hanno il potere di decidere, a cominciare dal prossimo governo per finire con l’Autorità per l’energia, dovrebbero dire chiaro e forte una cosa semplice: non abbiamo più intenzione di restare appesi, basta.

Ma l’Italia la testa nel cappio fino a ora ce l’ha voluta tenere e non è chiaro se questo autolesionismo sia il risultato di una valutazione sbagliata oppure se siamo alle solite.

E cioè che ancora una volta quel che guida le scelte non sono gli interessi dei cittadini e delle imprese, ma la forza delle lobby.

Grazie a quel cappio si stanno ricoprendo d’oro le circa venti società di distribuzione del gas nate in Italia dopo la liberalizzazione del settore, dall’Eni all’Enel ad Edison.

Siccome il prezzo che queste società possono praticare al dettaglio a consumatori e imprese è collegato proprio al prezzo artificiosamente gonfiato del TTF, per loro va benissimo così. 

Gas liquido e gassoso

Per capirlo basta dare un’occhiata all’andamento del prezzo del gas in forma gassosa e in forma liquida prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Dall’inizio del 2020 fino a febbraio 2022 il prezzo del gas gassoso ancorato al TTF è costantemente molto più alto rispetto a quello liquido, con punte di una decina di volte nel febbraio 2022 nonostante fino a quel momento non fosse mancato neanche un metro cubo di gas.

Eppure i costi di produzione e distribuzione rendono il gas liquido da due a tre volte più caro di quello gassoso.

Il gas liquido deve essere liquefatto in impianti molto costosi, poi trasportato in nave da una parte all’altra del mondo, rigassificato in impianti altrettanto costosi, conservato a una temperatura di meno 180 gradi e nel corso di questi processi è sottoposto a un’evaporazione di circa il 30 per cento.

Il prezzo di riferimento del gas liquido è quello dell’indice Henry Hub calcolato sulle vendite dal terminale di Erath in Louisiana di ingenti quantità di prodotto esportato in tutto il mondo, dall’Asia all’Europa.

Quel prezzo è affidabile, trasparente, tracciabile. Il prezzo del gas gassoso ancorato all’olandese TTF si basa al contrario su quantità di prodotto estremamente modeste su cui grava una sorta di segretezza. L’oscillazione vistosa del prezzo TTF è frutto di manovra speculative.

Il cappio del gas appeso al TTF fa felice la Russia di Vladimir Putin che si gode lo spettacolo e gli altri paesi produttori di gas come Norvegia e Olanda.

Fu l’Eni una decina d’anni fa, ai tempi in cui presidente era Paolo Scaroni, manager legatissimo a Silvio Berlusconi, oggi presidente del Milan e potenziale ministro, a contrattare per anni con la russa Gazprom tramite uno dei suoi dirigenti più alti in grado, Marco Alverà, amministratore di Eni Trading and Shipping, un nuovo sistema di determinazione del prezzo del gas svincolato dall’andamento delle quotazioni del petrolio e collegato a un nuovo parametro che a quel tempo era frettolosamente apparso addirittura vantaggioso: la borsa del gas TTF (Title Transfer Facility) di Amsterdam.

In realtà a quei tempi il prezzo del gas ancorato al TTF era veramente conveniente, ma il vantaggio era più apparente che reale, risultato di una serie di fattori contingenti e transitori, molto legati alle floride, ma piccole realtà olandesi, belghe e della Renania-Westfalia. Fattori che con il passare degli anni si sono ribaltati nell’esatto opposto, in una diseconomia evidente e ormai tragica per l’Italia.

Il suk olandese

Il TTF è un piccolo mercato in cui non sono le quantità fisiche di gas e il gioco della domanda e dell’offerta a determinare i valori. E’ una sorta di suk in cui spadroneggiano gli influssi finanziari e speculativi manovrati da società anche apparentemente lontane dalle faccende del gas nelle quali non di rado la presenza di capitali russi è molto marcata.

Chi allora trattò con Gazprom legandosi mani e piedi al TTF forse non comprese fino in fondo ciò che stava facendo e i rischi a cui stava esponendo il sistema Italia.

Di sicuro nei contratti non sono state inserite quelle clausole prudenziali che avrebbero consentito all’Italia di togliere la testa dal cappio nel caso in cui la stretta fosse diventata asfissiante.

L’ex manager Eni Carollo è uno dei pochi italiani che ha conosciuto e studiato dal di dentro il sistema del TTF. Ha visto in prima persona in che modo è stata artificiosamente creata la dittatura del prezzo del gas, a cominciare dal momento in cui gli olandesi decisero a freddo di lanciare ad Amsterdam una borsa parallela a quella londinese per il petrolio.

Ma il TTF non ha mai fatto il salto di qualità e non somiglia nemmeno alla lontana alla borsa del petrolio di Londra trattando rispetto a quest’ultima quantità irrisorie di materia prima.

Da settimane Carollo invoca l’Autorità per l’energia di dichiarare ufficialmente e solennemente di non voler più sottostare alla tirannia del TTF adottando al suo posto un calcolo del prezzo al consumo basato sulla media del prezzo reale di acquisto degli operatori gasieri.

«Basterebbe questo – dice Carollo - a far crollare almeno della metà il prezzo del gas per i cittadini e le imprese italiane». Ma l’Autorità per l’energia quella dichiarazione non vuole farla, anzi, continua a ribadire che il TTF è un punto di riferimento.

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