Con l’integrazione della Nadef che dovrebbe essere approvata oggi dal consiglio dei ministri sarà pubblicata finalmente anche la relazione sull’evasione fiscale che il governo Draghi ha deciso in controtendenza di non allegare alla nota di aggiornamento che ha approvato prima del cambio di governo. 

Secondo quanto abbiamo potuto ricostruire la burocrazia di Palazzo Chigi temeva di infastidire il governo entrante in particolare sull’analisi delle conseguenze del regime forfettario sugli autonomi introdotto nel 2019 dal governo giallo verde, la cosiddetta flat tax fino a 65mila euro che il nuovo esecutivo vorrebbe estendere. 

La lotta all'evasione è il grande buco nero della destra

Flat tax e cedolare

Cosa dice in particolare quella relazione? Ciò che ci si poteva attendere. Primo: il regime forfettario a 30 mila euro introdotto dal 2007 non ha contribuito particolarmente all’emersione dell’evasione e, secondo punto e politicamente più delicato, la soglia a 65mila introdotta nel 2019 ha provocato quello che in gergo si definisce un «addensamento» dei contribuenti sotto la soglia. Cioè ha incentivato a fatturare meno. 

Politicamente, questo potrebbe essere persino essere un argomento a favore dell’innalzamento del tetto del forfait, anche se a questo punto ci si può attendere che la nuova soglia, ventilata dal governo, a 85mila euro provochi un fenomeno simile. 

C’è anche una analisi completa degli effetti della cedolare secca sugli affitti, che non fa altro che confermare l’iniquità di una misura difesa con governi di destra e sinistra. La cedolare, solitamente presentata come un mezzo per far emergere l’evasione, la fa emergere solo per i redditi più bassi, mentre non è utile per i redditi più alti per cui evadere è più rischioso e che però sono quelli più avvantaggiati dall’aliquota ribassata.  

Meno evasione

La destra smonta pezzo per pezzo le misure anti evasione

Per il resto la relazione, che ovviamente fa il punto sugli accertamenti fiscali, conferma la diminuzione del tax gap, cioè la differenza tra il gettito stimato e quello effettivamente incassato, sull’Iva e invece segnali in controtendenza tutti da analizzare su imposte come Irpef e Ires. 

Per quel che riguarda gli indirizzi per le politiche future, solitamente la relazione accoglie anche le indicazioni dell’Agenzia delle entrate e, a meno che non sia stata modificata dal nuovo governo, dovrebbe contenere il suggerimento a ulteriori integrazioni delle banche dati proprio in funzione di centrare gli obiettivi di aumento degli adempimenti fiscali da parte dei contribuenti. 

Gli obiettivi da centrare

Meloni promette più evasione per tutti ma non sa di cosa parla

Per centrare gli obiettivi del Pnrr l’Italia deve passare da un tax gap del 18,4 per cento del 2019 al 17,6 per cento nel 2023 e al 15,8 per cento nel 2024. Il problema è che per raccogliere i dati, analizzarli e calcolare serve tempo: la Commissione europea ha chiesto di anticipare la diffusione dei dati non definitivi e questo significa che a dicembre 2025 si avranno i dati quasi definitivi sul 2023 e a dicembre 2026, a conclusione del piano nazionale di ripresa e resilienza, quelli quasi definitivi del 2024 e definitivi sul 2023. 

Al momento il governo non sembra intenzionato a proseguire sulla strada di una maggiore trasparenza fiscale, a giudicare dalle polemiche sollevate dall’introduzione del nuovo sistema di analisi che incrocia conti correnti e bollette adottato da luglio dall’Agenzia delle entrate, dopo il via libera del garante della privacy. Se ci fosse una marcia indietro, sarà difficile raggiungere gli obiettivi del piano di ripresa.

© Riproduzione riservata