«Caccia alle streghe? Quale caccia alle streghe?». È durata giusto un giorno la crociata antievasori di Maurizio Leo. Mercoledì mattina, in una sede ufficiale come la Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, Leo aveva ipotizzato di stanare i furboni del fisco con una caccia senza quartiere sul web per confrontare il tenore di vita esibito sui social da professionisti e imprenditori con quello rilevato dalle loro dichiarazioni dei redditi.

Lega all’attacco

A distanza di ventiquattrore, però, Leo si è presentato a un evento organizzato dal Sole 24 Ore sfoggiando l’abituale tenuta da profeta del fisco amico. «Vogliamo avviare un rapporto di dialogo», ha rassicurato il tributarista romano. Rassicurazioni rivolte alla platea di professionisti che lo ascoltava, ma anche agli alleati di governo della Lega, che mercoledì si erano visti offrire su un piatto d’argento l’occasione di sfoggiare la divisa da campioni del partito antitasse. «Gli slogan sulla persecuzione della vita privata dei cittadini a fini fiscali lasciamoli come prerogativa della peggiore ideologia illiberale», ha reagito Armando Siri, consigliere economico di Matteo Salvini.

Ecco, allora, la frettolosa retromarcia del viceministro: «Non faremo una caccia alle streghe, mi dispiace se sono stato interpretato in modo diverso nella mia audizione». L’incidente è chiuso, ma restano i problemi di un governo chiamato a conciliare le promesse elettorali sulla riduzione delle tasse con l’esigenza di aumentare il gettito tributario per far fronte al deficit di bilancio.

Esempio concreto di questa contraddizione è la girandola di dichiarazioni sul concordato preventivo biennale, che nelle intenzioni dell’esecutivo dovrebbe far emergere il sommerso grazie a una sorta di negoziato tra l’Agenzia delle entrate e i lavoratori autonomi. I numerosissimi critici di questo provvedimento lo hanno descritto come una misura senza effetti concreti, destinata a cadere nel vuoto oppure, nella peggiore delle ipotesi, come una nuova scappatoia offerta agli evasori. Già, ma nel concreto quanto gettito extra potrà fruttare il concordato? Va ricordato che la nuova norma riguarda l’esercito delle partite Iva, oltre 4 milioni di lavoratori autonomi che secondo gli ultimi dati non dichiarano i due terzi (68,8 per cento) del loro reddito. Un buco che vale 31 miliardi di mancati incassi per lo Stato.

Nella relazione tecnica che accompagnava la prima versione del provvedimento erano stati ipotizzati 1,8 miliardi di incassi aggiuntivi per l’erario. In un secondo tempo, però, il testo della norma è stato modificato e la nuova versione non contiene nessuna previsione, un indice, questo, dell’estrema incertezza sugli effetti concreti del provvedimento. Ieri però Leo è tornato sull’argomento per dire che le entrate supplementari garantite dal concordato preventivo contribuiranno a fornire le risorse necessarie a finanziare il taglio delle tasse.

Promesse costose

La previsione del viceministro pare quantomeno azzardata, visto che il governo dovrà già fare i salti mortali per confermare anche nel 2025 gli sgravi varati nella manovra per quest’anno. A cominciare dall’accorpamento delle due aliquote più basse dell’Irpef che vale solo per il 2024. Questa misura costa 4 miliardi di minori introiti alle casse pubbliche. Adesso Leo rilancia. La riduzione degli scaglioni Irpef da quattro a tre verrà replicata anche l’anno prossimo, con l’aggiunta, a quanto è dato di capire, di nuovi sgravi legati a una riduzione del prelievo.

Passare dalle parole ai fatti appare quanto mai complicato, anche alla luce dei limitatissimi spazi di manovra di un governo che dovrà raschiare il fondo del barile per finanziare capitoli come pensioni e sanità. A Leo però preme soprattutto guadagnare consenso mostrando il volto amico del fisco.

E allora spiega che nel caso in cui il contribuente non aderisca alla proposta di concordato gli verrà semplicemente chiesto di spiegare la discrepanza tra i dati a disposizione dell’Agenzia e quelli della dichiarazione dei redditi.

In pratica, i sospetti evasori verranno inseriti in cosiddette liste selettive, che però, a ben guardare, sono già previste dalle norme in vigore. Senza contare che non è affatto detto che la proposta di un accordo convinca i contribuenti meno affidabili a mettersi in regola. In passato misure simili al nuovo concordato, l’ultima risale a una ventina di anni fa, caddero nel vuoto.

Tutto dipende da quanto sarà concreta la minaccia di interventi mirati da parte dell’Agenzia delle entrate. Alla luce di quanto è accaduto finora il rischio appare limitato: ogni anno solo il 5 per cento delle partite Iva viene sottoposto a verifiche.

Leo insiste. Promette di potenziare i controlli. Difficile però che si arrivi a setacciare il web a caccia di evasori. Per farlo bisognerebbe scavalcare con un’apposita norma i limiti imposti dalla tutela della privacy. Nel 2021 con il governo di Mario Draghi, era già stato ipotizzato un intervento simile, ma non se ne fece niente. Adesso proprio il governo del fisco amico deciderà di cambiare strada? Si accettano scommesse.

© Riproduzione riservata