La giudice di Hong Kong Linda Chan ieri è entrata nella storia per aver ordinato la liquidazione del gruppo immobiliare più indebitato del mondo, la compagnia cinese Evergrande. «L’udienza è durata un anno e mezzo e la società non è ancora stata in grado di presentare una proposta di ristrutturazione concreta per le sue passività da 328 miliardi di dollari.

Penso che sia giunto il momento che la corte dica basta», ha sentenziato Chan prima di nominare due liquidatori provvisori. La compagnia fondata nel 1996 da Xu Jiayin potrebbe in teoria ricorrere in appello, ma ciò non interromperebbe la procedura di liquidazione.

Alla notizia, che non è certo giunta come un fulmine a ciel sereno, le azioni del gruppo, già da un po’ carta straccia, sono quasi evaporate, prima che ne venisse sospesa la contrattazione. Evergrande Group ha perso il 21 per cento attestandosi a 16,3 centesimi nella stessa borsa dove un titolo Tencent vale 281 dollari hongkonghesi.

Pechino collabora?

Alla fine, dopo che un gruppo di creditori internazionali aveva rifiutato la proposta di ristrutturazione del debito avanzata nel marzo scorso dai manager di Evergrande, il tribunale ha messo tutto nelle mani di Edward Middleton e Tiffany Wong Wing-sze.

I due liquidatori dovranno provare a vendere più asset possibile, per tentare di rimborsare quanto più possibile i creditori, tra cui quelli offshore, che hanno in mano meno di un decimo (23 miliardi di dollari) del debito della compagnia.

Middleton e Wong sono entrambi direttori di Alvarez & Marsal. Il primo prese in carico nel 2008 la ristrutturazione di Lehman Brothers dopo il crack della banca d’affari Usa, un business che, secondo il Wall Street Journal, ha fruttato alla società di consulenza con quartier generale a New York oltre 500 milioni di dollari. Wong invece nel 2020 si occupò di quella di Luckin Coffee (il rivale cinese di Starbucks), travolto da falsi in bilancio colossali, ma risollevatosi dopo due anni di ristrutturazione.

Da un lato potranno agire con maggiore libertà, dopo che nel settembre scorso le autorità di Pechino hanno arrestato Xu e altri funzionari di Evergrande.

Dall’altro - se le autorità cinesi non vorranno collaborare - sarà difficile applicare i provvedimenti, perché Hong Kong (che è una regione amministrativa speciale) ha accordi di cooperazione sui procedimenti per insolvenza solo con le autorità di Shanghai, Shenzhen e Xiamen. Ed Evergrande - un tempo il secondo devoloper del paese - ha più di 800 progetti in diverse fasi di avanzamento, in 200 città cinesi.

Un crollo annunciato

La compagnia fondata da Xu rappresenta un simbolo dello sviluppo impetuoso e disordinato della Cina e, nello stesso tempo, del fallimento dei rimedi promossi nel tentativo di invertire la rotta.Per decenni il mattone ha costituito il 30 per cento del Pil e spinto l’economia nazionale, in una fase di massiccia urbanizzazione dalle campagne.

Xu ha cavalcato l’onda, finanziando con montagne di bond l’espansione della sua Evergrande, che ha così battuto la concorrenza, costruendo milioni di appartamenti destinati alla classe media e diventando la numero uno in Cina nel 2016. Poi però la bolla si è sgonfiata, ed Evergrande si è ritrovata in un mare di debiti.

Nel 2017 il governo lanciò lo slogan secondo cui “le case sono fatte per essere abitate, non per specularci”, e in seguito limitò il numero di appartamenti acquistabili da un singolo proprietario. Nell’agosto 2020 arrivarono le “tre linee rosse” per cercare di frenare l’indebitamento dei costruttori che tuttavia non impedirono, l’anno successivo, il primo default sui bond di Evergrande.

Mentre i prezzi continuano a scendere, i cinesi non investono più negli immobili, e la crisi del settore contribuisce a rallentare la crescita economica. Il governo ha infine cambiato rotta. Il mese scorso, in occasione dell’annuale Conferenza centrale di lavoro sull’economia, si è deciso di dare indicazione alle banche di riprendere a finanziare in maniera “ragionevole” i costruttori indebitati, nel tentativo di impedire crolli a catena. E molti governi locali hanno rimosso i limiti precedentemente varati al numero di appartamenti acquistabili.

I dati ufficiali sono impietosi. Il calo della domanda ha fatto scendere la costruzione di nuovi appartamenti al livello più basso dal 2007. Nel 2023 secondo l’Ufficio nazionale di statistica i cantieri aperti sono stati il 20 per cento in meno rispetto all’anno precedente e il 60 per cento in meno rispetto al picco del 2019.

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