Il fondatore di Evergrande, Xu Jiayin (Hui Ka Yan in cantonese), è detenuto sotto sorveglianza della polizia in una località segreta della Cina.

A rivelarlo, ieri, è stata Bloomberg, dopo che negli ultimi giorni il colosso immobiliare di proprietà di Xu aveva subìto una serie di disfatte che lo hanno spinto più vicino al baratro di una liquidazione dalle conseguenze imprevedibili. L’arresto di Xu non è stato confermato dalle autorità, dunque non se ne conosce ufficialmente il motivo.

Ma è arrivato proprio mentre, da domenica scorsa, Evergrande (con debiti per 327 miliardi di dollari) sta provocando massicce perdite nei mercati azionari, avendo annunciato l’impossibilità di emettere obbligazioni, a causa di un’inchiesta sulla sua principale unità cinese, Hengda Real Estate.

Il secondo developer della Cina non è ancora tecnicamente in bancarotta. Tuttavia - ha sottolineato un utente di Weibo, il Twitter locale - «non riuscire a emettere nuove obbligazioni significa non avere più la capacità di finanziarsi: è come non avere munizioni per combattere una guerra».

Nato 65 anni fa in un villaggio rurale dello Henan, dopo la laurea a Wuhan Xu deve la sua fortuna a Evergrande, fondata nel 1996 a Guangzhou. Anni in cui erano tanti i cinesi che potevano permettersi di acquistare appartamenti come fossero bruscolini.

Case che sostenevano l’economia nazionale (il cui prodotto interno lordo dipende tuttora per un quarto dal mattone), e spuntavano come funghi e a prezzi ultra competitivi, perché le società come Evergrande facevano leva sui continui prestiti concessi senza problemi da banche e investitori per acquistare i terreni edificabili.

Un sistema che ha tenuto finché si sono ridimensionati due pilastri che lo avevano sorretto (l’elevata crescita dei salari e il processo di urbanizzazione) e che ha accusato un duro colpo anche dalle misure restrittive volute da Xi Jinping per ridurre le disuguaglianze sociali, riassunte nello slogan «gli appartamenti servono per viverci, non per speculare».

“Fratello cintura”

Soprannominato “fratello cintura” per essersi presentato all’Assemblea nazionale del popolo indossandone una di Hermès con una fibbia d’oro, con un patrimonio di 45 miliardi di dollari nel 2017 Xu divenne l’uomo più ricco dell’Asia.

La sua squadra di calcio, il Guangzhou Evergrande allenato da Marcello Lippi, dominava la Chinese Super League e faceva incetta di campioni stranieri. Nel 2021 partecipò assieme ai papaveri del partito comunista alle celebrazioni ufficiali per il centenario della fondazione, un segnale della sua vicinanza all’élite.

Gli ultimi sviluppi mettono però pesantemente in dubbio il piano di ristrutturazione del debito che la società ha svelato a marzo, dopo averlo a lungo negoziato con i suoi creditori internazionali. Il debito da ristrutturare è pari a 31,7 miliardi di dollari e l’idea è – o, forse, a questo punto, meglio, era – quella di “neutralizzarlo” mediante l’emissione di bond, cambiali, obblighi di riacquisto.

Ai creditori stranieri è stato proposto soprattutto lo scambio dei vecchi titoli di debito con nuovi bond con scadenza più lunga, dai dieci ai 12 anni. Per essere approvato, questo schema necessita dell’ok di più del 75 per cento dei creditori. Ma, secondo quanto anticipato dalla Reuters, un gruppo di creditori internazionali, che detiene gran parte dei bond offshore, sarebbe pronto a unirsi all’istanza di liquidazione avanzata nel giugno 2022 da Shine Global, uno degli investitori in Evergrande, se quest’ultima non pubblicherà entro la fine di ottobre un piano di ristrutturazione del debito aggiornato.

In pratica, dopo che Evergrande ha confessato di non poter emettere nuove obbligazioni, i creditori internazionali non credono più al suo piano per uscire dalla crisi.

Un problema politico

Il fermo di Xu indica che il governo prova ad assumere il pieno controllo della situazione e dei conti della compagnia. Anche perché, per Xi Jinping, Evergrande rappresenta un problema per il mantenimento della stabilità sociale.

Se Evergrande fosse messa in liquidazione, con conseguente stop ai cantieri e vendita dei suoi asset, che ne sarebbe delle centinaia di migliaia di appartamenti pagati in anticipo, parte di 800 progetti non completati in 200 città della Cina? I cinesi - anche quelli che hanno vissuto le conseguenze della tragica utopia maoista del Grande balzo in avanti - non sono più abituati a grandi turbolenze economico-finanziarie.

Piuttosto le ultime leadership, quelle di Jiang Zemin e di Hu Jintao, hanno saputo traghettare il paese tra i marosi di crisi che all’estero si sono rivelate disastrose - la crisi finanziaria asiatica della fine degli anni Novanta e quella globale del 2007-2008 - ma che non hanno danneggiato l’economia cinese.

Da quando, due anni fa, si è scoperto il mare di debiti in cui naviga Evergrande, gli effetti del crollo della compagnia di Xu si sono già fatti sentire sull’economia reale, contribuendo - assieme al rallentamento della domanda dall’estero e dei consumi interni - in maniera significativa al rallentamento del Pil, che quest’anno, secondo il premier Li Qiang, dovrebbe crescere di «circa il 5 per cento».

Ora però lo spettro della bancarotta di Evergrande agita i mercati finanziari. Ieri le azioni del colosso con i piedi di argilla di Guangzhou sono crollate fino al 18 per cento nelle contrattazioni pomeridiane a Hong Kong, mentre l’indice che segue i developer continentali quotati a Hong Kong è sceso dello 0,3 per cento.

L’altro ieri a Hong Kong Evergrande ha perso il 7 per cento, Country Garden il 4,2 per cento, e Sunac China il 6 per cento. «Quando si attuano misure normative, è fondamentale evitare correzioni eccessive, considerare i potenziali effetti a catena e valutare appieno le conseguenze socioeconomiche delle politiche», ha avvertito il giornale economico Caixin. Uno dopo l’altro i governi locali si stanno muovendo per implementare le misure “correttive” varate dal partito comunista l’estate scorsa (mutui più facili e meno limiti all’acquisto di appartamenti). Basterà?

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