Se l’indice della paura da rating corrisponde a quello dello spread, vien da dire che i mercati giudichino quantomeno remota la possibilità che venerdì prossimo Moody’s bocci i numeri dell’Italia, abbassando il voto al debito tricolore, relegandolo nel girone infernale dei titoli spazzatura. Da giorni, infatti, il differenziale tra i nostri Btp decennali e quelli tedeschi vivacchia intorno a 185 punti e, anzi ieri ha puntando decisamente verso il basso assestandosi verso quota 180, ben distante dalla prima soglia d’attenzione, quella dei 200 punti, più volte superata nel mese di ottobre. Allo stesso modo, il rendimento della scadenza a dieci anni viaggia addirittura intorno al 4,4 per cento, un numero che non si vedeva da quasi due mesi.

L’inflazione americana

Tutto a posto, dunque? Non c’è motivo di preoccuparsi in vista dell’appuntamento con la pagella di Moody’s? Lo scenario autorizza un certo ottimismo, ma va anche detto che i progressi di questi giorni sui mercati non si spiegano con la tenuta dei nostri conti pubblici e tantomeno con il (presunto) giudizio favorevole degli investitori sulla manovra appena varata dal governo. Ieri, per esempio, il forte ribasso dei rendimenti ha coinvolto un po’ tutti i titoli a reddito fisso e non solo i nostri Btp.

A innescare questo movimento di mercato è stato l’annuncio dell’inflazione più bassa del previsto registrata in ottobre negli Stati Uniti, in calo al 3,2 per cento. Le Borse, da Wall Street fino all’Europa sono subito partite al rialzo, nella convinzione che i nuovi dati sull’andamento dei prezzi convinceranno la Fed a non varare ulteriori rialzi del costo del denaro, visto che l’inflazione per il momento sembra domata. Allo stesso modo, anche i listini del reddito fisso hanno visto salire le quotazioni dei bond con una corrispondente riduzione dei rendimenti.

Insomma, il barometro dei mercati segna bel tempo e questo per il momento concede un po’ di tregua anche al Tesoro, che, in prospettiva, potrebbe veder diminuire anche gli interessi da pagare sul debito pubblico. I problemi di fondo del Paese però non scompaiono certo per effetto di qualche giorno di tassi in ribasso. Ed è proprio sulle prospettive generali dell’economia che si fonderà il giudizio di Moody’s, una valutazione che segue quella espressa di recente dalle altre due principali agenzie di rating. Entrambe, Standard & Poor’s in ottobre e di Fitch venerdì scorso, hanno mantenuto invariato il loro voto sulla sostenibilità del debito italiano.

Italia in bilico

La pagella di venerdì prossimo è attesa con qualche apprensione in più. A maggio, infatti, Moody’s ha confermato il rating Baa3 per l’Italia, modificando però l’outlook da stabile a negativo. Significa che secondo gli analisti dell’agenzia i nostri titoli erano pericolosamente in bilico sul crinale che li avrebbe portati verso la categoria “spazzatura” o speculative, oppure anche junk, per dirla con termini tecnici correnti. Nessuno tra i grandi paesi dell’area euro ha un rating inferiore a quello dell’Italia, che se venisse declassata si troverebbe appaiata alla Grecia, mentre già oggi i bond tricolori scontano un voto inferiore a quelli bulgari e ungheresi.

Elemento centrale nel giudizio di Moody’s sarà la sostenibilità del nostro debito pubblico, in una situazione di crescita economica in frenata e tassi d’interesse che resteranno comunque elevati ancora a lungo. Standard & Poor’s e Fitch non hanno ravvisato gravi pericoli all’orizzonte. Vedremo se anche Moody’s seguirà la stessa linea. Proprio ieri è stato lo stesso Giancarlo Giorgetti a mettere le mani avanti sul tema della crescita. In audizione al Senato, il ministro dell’Economia ha ammesso che la stima di incremento del Pil nel 2023 contenuta nella Legge di bilancio, pari allo 0,8 per cento, «potrebbe essere soggetta a una – sia pure contenuta – correzione al ribasso» . Il ministro ha anche ricordato che sull’andamento dell’economia incombono « molteplici rischi al ribasso», confermando così una regola aurea della comunicazione politica: se il Pil frena la colpa è dello scenario internazionale, se invece accelera il merito è del governo in carica. Questione di punti di vista. Entro venerdì sera sapremo se abbiamo una ragione in più di preoccuparci. Ce lo dirà Moody’s.

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