Hanno abolito il sostegno alla povertà. O meglio il governo Meloni lo abolirà del tutto nel 2024 con una riforma complessiva basata sulla divisione tra le persone che risultano occupabili e quelle che invece sono state indirizzate ai servizi sociali.

Per il 2023, il compromesso raggiunto nel lungo confronto del consiglio dei ministri durato tre ore e mezza è di tagliare da 18 a otto mesi la copertura dell’assegno per coloro che risultano occupabili tra i 18 e i 59 anni con l’esclusione delle famiglie dove ci sono minori o anziani sopra i 60 anni o disabili. E di chi è già occupato, ben un quinto dei percettori di reddito registrati a giugno 2022 lo era seppure con salari da fame in senso letterale, a cui rimane la possibilità di integrare il reddito da lavoro.

Il risultato di questa formula è la riduzione del sussidio per quasi 404 mila famiglie su una media di oltre un milione di famiglie beneficiarie, secondo la relazione tecnica che accompagna la misura in legge di bilancio.

Il tutto frutterà poco meno di 800 milioni, 776 per la precisione, di risparmi sulla pelle di chi ha meno, astrattamente togliendo poco più di 1900 euro a famiglia nell’arco di un anno. Poi chissà.

Un problema di controllo

La ministra del Lavoro Marina Calderone ha promesso che verrà rivisto il meccanismo farraginoso dei controlli. Oggi diviso tra molte istituzioni, dai comuni all’Anpal, Meloni ha promesso che il reddito verrà tolto a chi vive all’estero. La propaganda continua a essere sugli abusi, che per esempio potrebbero essere combattuti attraverso la lotta al lavoro nero non tagliando una misura di welfare civile.

Poco viene detto sul sistema dell’indirizzamento al lavoro, il vero problema del meccanismo del reddito di cittadinanza. Il sistema delle politiche attive ha preso in carico meno della metà di coloro che dovevano essere indirizzati in un percorso di lavoro, nonostante non presentarsi al centro per l’impiego per sottoscrivere un patto per il lavoro implica anche oggi la revoca del reddito di cittadinanza.

Meloni ha ribadito che il reddito verrà tolto a chi vive all’estero, ma anche oggi dovrebbe essere così.

Anzi secondo i dati dell’ultimo rapporto annuale dell’Inps è la prima causa di revoca dell’assegno: nel 2020 l’assenza di requisiti di residenza e cittadinanza, ha rappresentato il 77 per cento delle cause di revoca e il 50,70 per cento nel 2021. Inutile dire che sono anche i criteri che fanno più difficoltà a essere rispettati dalle famiglie di origine straniera, ma tant’è.

Intanto nelle stanze del ministero del Lavoro, resta ancora abbandonata la relazione della commissione di studio sul reddito di cittadinanza: diceva esattamente il contrario, cioè che la platea delle famiglie beneficiarie doveva essere allargata, anche abbassando l’assegno, dando più peso al numero dei figli, agevolando le famiglie straniere, e rendendo possibile e disegnando in maniera più efficiente l’accumulo tra reddito da lavoro e sostegno ai poveri.

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