Ho da lungo tempo in portafoglio delle azioni Finmeccanica che hanno assunto poi la denominazione di Leonardo e in questi lustri il titolo ha preso una sberla dietro l’altra. Dal marzo 2008 a oggi credo di aver perso oltre il 60 per cento di quanto ho investito e ogni amministratore delegato che si è succeduto ha presentato progetti di espansione bellissimi che oggi sembrano il quaderno dei sogni infranti. Va così male il settore? Negli ultimi anni poi a fronte di piazza Affari che sale Leonardo va in direzione opposta. Cosa sta succedendo?
T.


Gentile T.
Se prendiamo il grafico del titolo Leonardo (ex Finmeccanica) dal novembre 2005 a oggi e lo confrontiamo con un indice collegato al settore aerospaziale e difesa americano il gap negativo accumulato dalla nostra società considerato il campione nazionale, è in effetti impressionante. Meno 45 per cento per Leonardo contro un più 428 per cento dell’indice di categoria.

E nonostante la pandemia di Covid-19 il settore delle armi ha registrato un nuovo record di vendite anche nel 2020. Il fatturato di 531 miliardi di dollari è in aumento per il sesto anno consecutivo, secondo il rapporto annuale di Sipri (International Institute of Stockholm Peace Research).

Il mercato è ancora largamente dominato dagli americani che destinano quasi il 4 per cento del Pil alle spese militari. Dopo il 2001 e dopo l’attacco alle Twin towers hanno aumentato in modo significativo la spesa passando dai 500 miliardi di dollari agli oltre 700 miliardi attuali.

Leonardo è la principale realtà italiana manifatturiera e ad alta tecnologia che opera nei settori dell’aerospazio, difesa e sicurezza, con il settore degli elicotteri che è il fiore all’occhiello della società insieme all’elettronica per la difesa che valgono quasi l’80 per cento del fatturato.

Investimenti sbagliati

La società ha chiuso i primi nove mesi del 2021 con ricavi in crescita del 6 per cento a 9,6 miliardi e ordini per 9,3 miliardi (+9 per cento) e dovrebbe chiudere l’anno con un fatturato intorno ai 14 miliardi di euro rispetto ai 13,4 del 2020 con un incremento della redditività (ebit) a doppia cifra. Livelli inferiori di fatturato comunque a quelli pre 2010 e che spiegano come la Borsa emetta nel tempo valutazioni basate soprattutto sui numeri e su diversi fatti accaduti.

Diverse sono, infatti, le ragioni che possono spiegare questo gap e, fra queste, sotto l’era di Pier Francesco Guarguaglini, l’acquisizione infelice di Drs Technologies nell’ottobre 2008 per 3,4 miliardi di euro con l’obiettivo annunciato all’epoca di inserirsi con un ruolo di primo piano nel mercato Usa e diventare fra i protagonisti mondiali del settore.

Questa acquisizione ha caricato la società di nuovi debiti ma non ha prodotto nemmeno lontanamente i risultati sperati, tanto che, da più tempo Leonardo, ora sotto la direzione dell’ex banchiere Alessandro Profumo (su cui è pendente una condanna in primo grado quando era presidente di Mps), cerca di collocare una parte del capitale di Drs (un 22 per cento) sulla base di una valutazione perfino inferiore a quella del 2008.

Fra i fatti negativi che hanno condizionato il titolo da ricordare poi come nel febbraio 2013 l’ad e presidente di Finmeccanica dell’epoca, Giuseppe Orsi, venne accusato di corruzione (per tangenti legate alla vendita di elicotteri in India) e arrestato e questo fece crollare il titolo di un 20 per cento. Nel 2019 Orsi viene completamente scagionato.

Un settore delicato

Dal 2015/2016 sotto la guida di Mauro Moretti (ex amministratore delegato di Ferrovie dello Stato e fra i condannati poi per la strage di Viareggio e anche per questo non confermato al secondo mandato e liquidato con 9,3 di milioni di euro di buonuscita) ha avviato con il progetto One Company un processo di fusione di tutte le società controllate nella società principale, Finmeccanica, che ha assunto la denominazione di Leonardo.

Un’opera di centralizzazione e di taglio dei costi (dalle note spese al marketing) e della struttura commerciale che nel regno di Moretti ha messo le ali al titolo in Borsa (più 140 per cento in 3 anni dal maggio 2014 al maggio 2017). Vedendo quello che è accaduto dopo le sue dimissioni è difficile dire se sia stato veramente un colpo di genio, poiché secondo molti addetti ai lavori le limitazioni poste alle attività commerciali hanno danneggiato gli ordini per gli anni successivi al suo mandato.

Il settore della difesa è molto delicato, richiede grandi competenze e relazioni, soprattutto diplomatiche, ad altissimi livelli poiché vendere flotte di aerei da combattimento è questione di stato.

Il peso politico sullo scacchiere internazionale dell’Italia negli ultimi lustri non è aumentato ed è curioso secondo alcuni consulenti del settore che prima si sia affidata a un ferroviere e poi a un banchiere la guida in un’azienda dove lo stato italiano ha un peso importante (il 30 per cento). E sicuramente non hanno aiutato le difficoltà, prima del settore elicotteristico (nel 2017 Leonardo ha dovuto tagliare gli obiettivi di vendita in modo significativo per alcune criticità) e poi di quello aeronautico, anche per effetto della pandemia che ha messo in stallo la divisione civile (3400 lavoratori del gruppo sono stati messi in queste settimane in cassa integrazione in tre stabilimenti del sud).

Una svolta più pacifista?

Si parla da alcune settimana, fra le mosse di Leonardo, di procedere alla vendita dell’ex Oto Melara-Wass, l’area che si occupa di sistemi di Difesa navali, aerei, terrestri e subacquei per rafforzarsi nell’elettronica aumentando la partecipazione in Hensoldt (il produttore di telecamere ad alta tecnologia per i velivoli Tornado ma anche periscopi per carri armati e sistemi radar per l'Eurofighter) di cui ha acquisito questa primavera dal gruppo Kkr (lo stesso che ora sta tentando in Italia l’arrocco su Telecom Italia) il 25,1 per cento per 605 milioni di euro a un prezzo più che doppio rispetto a quello segnato in Borsa in queste settimane.

Diverse analisi dicono che Alessandro Profumo (meno 60 per cento il titolo Leonardo da quando nel maggio 2017 è stato nominato amministratore delegato contro più 40 per cento della Borsa italiana) potrebbe voler dismettere la parte più propriamente militare del gruppo (anche per provare a esibire un profilo più pacifista ad Esg, visto che il titolo Leonardo è stato escluso dal nuovo indice azionario di riferimento italiano Mib della sostenibilità) consapevole delle crescenti difficoltà che sui mercati finanziari incontrano i produttori di armamenti.

Una strada, comunque, molto stretta quella di puntare tutto sull’elettronica per giocare un ruolo di fornitore globale in progetti europei poiché il settore della difesa negli ultimi anni ha visto sempre più una concentrazione della quota di mercato dei big del settore e l’alzarsi crescente di barriere protezionistiche.

E anche questo spiega perché il fatturato di Leonardo non è decollato come nei programmi, e la quota di export negli anni si è ridotto per fare spazio alla quota domestica sostenuta dagli ordini della Difesa italiana. E Leonardo punta anche per questo a sfruttare i soldi europei che arriveranno dall’Europa con il Pnrr entrando in diversi progetti, fra cui il polo strategico nazionale (insieme a Cdp, Telecom e Sogei) per gestire in cloud i dati e le applicazioni della pubblica amministrazione.

L’italiana Leonardo in questa scacchiera fatica molto di più a muoversi rispetto al passato e anche nella difesa europea la partita non è facilissima da giocare perché i tedeschi e i francesi, soprattutto, hanno le carte (e spesso tecnologie) migliori e il loro peso è importante nei tavoli che contano. 

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