È fallito il tavolo del governo con i sindacati per trovare una soluzione ai seimila dipendenti dell’ex Ilva per cui adesso si staglia all’orizzonte la cassa integrazione, per alcuni già dalla prossima settimana
I sindacati che hanno incontrato il governo per conto dei dipendenti dell’ex Ilva destinati a entrare in cassa integrazione nelle prossime settimane hanno annunciato al termine di un incontro durato quattro ore la rottura della trattativa con l’esecutivo.
E, di fronte alle soluzioni carenti dal loro punto di vista proposte dal governo, hanno proclamato lo sciopero per 24 ore a partire da mercoledì 19 novembre. «Abbiamo rotto, abbiamo dichiarato 24 ore di sciopero a partire da domani, con assemblee. Perché i nostri dubbi sono diventate certezze. È un disastro». Cosi il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, al termine dell'incontro sull'ex Ilva a palazzo Chigi, riferendo la decisione dei sindacati e sostenendo che «il piano porta alla chiusura dell'ex Ilva. È mancato il senso di responsabilità delle istituzioni e del governo».
Al centro dell'incontro, iniziato nel primo pomeriggio e sospeso per circa un'ora, il piano presentato dal governo la scorsa settimana, che prevede tra le altre cose il passaggio in cassa integrazione di altri 1.550 lavoratori (per un totale di 6mila) da gennaio, piano di cui i sindacati hanno chiesto il ritiro.
Il merito e le repliche
La soluzione proposta dall’esecutivo era quella di trasformare in formazione professionale la cassa integrazione prevista per questi lavoratori in aggiunta a quella già autorizzata dal ministero del Lavoro per 4.450 dipendenti, anche se non approvata dai sindacati. Un’offerta che i sindacati hanno rispedito al mittente: «L’incontro è stato sospeso a fronte delle nostre richieste di ritiro del piano presentato l'11, definito da noi piano di chiusura» ha detto Davide Sperti, segretario nazionale Uilm e provinciale Taranto. «Al rientro, c'era solo il ministro Urso, il sottosegretario Mantovano non c'era, e il ministro ha detto che per i lavoratori c'era solo la formazione professionale. A quel punto la discussione per noi è finita».
Palazzo Chigi alla fine dell’incontro ha diffuso una nota in cui dà la sua versione dei fatti, specificando che la mancanza dell’estensione della cassa integrazione è stata di fatto la traduzione nei fatti della «principale richiesta avanzata dagli stessi sindacati nel corso del precedente tavolo». Chigi spiega che i corsi di formazione proposti a una parte dei dipendenti serviranno «a far acquisire ai lavoratori le competenze necessarie alla lavorazione dell’acciaio prodotto con le nuove tecnologie green». Il governo ha promesso di investire «risorse sulla manutenzione degli impianti» per mettere in sicurezza i lavoratori e aumentare la capacità produttiva.
«Abbiamo chiesto alla presidenza del Consiglio di sospendere, di ritirare il piano e di far intervenire direttamente la presidente del Consiglio, Meloni. Ci hanno risposto di no e noi abbiamo deciso di dichiarare sciopero a partire dalla giornata di domani» ha aggiunto Michele De Palma, segretario Fiom Cgil. Sulla stessa lunghezza d’onda il segretario generale Fim-Cisl, Ferdinando Uliano: «Ci sembra una prospettiva per chiudere lo stabilimento e metterlo a disposizione di eventuali possibili potenziali acquirenti, che oggi non ci sono. Quindi questa è una cosa per noi inaccettabile».
Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, ha visto trasformati i suoi dubbi in certezze: «Dal primo di marzo si chiudono definitivamente tutti gli stabilimenti con tutti i lavoratori in cassa integrazione. Abbiamo provato a dire: sospendete, è un disastro, succederà la fine del mondo nel momento in cui voi manterrete questa posizione».
© Riproduzione riservata


