Sarà anche una questione di giorni, un rinvio tecnico a dopo Natale per allineare i numeri con quelli della Legge di bilancio. Fatto sta che anche la riforma dell’Irpef, con l’annunciata riduzione delle aliquote da quattro a tre, ha imboccato la stessa china di ritardi che ha rallentato anche la marcia della Manovra verso l’approvazione definitiva, prevista, bene che vada, non prima del 29 dicembre.

È successo che il Consiglio dei ministri convocato anche per dare via libera alla sforbiciata all’imposta sui redditi delle persone fisiche, ha rinviato a sorpresa l’approvazione del provvedimento, che fa parte della più ampia revisione del sistema tributario promossa dal viceministro dell’Economia, Maurizio Leo. Se ne riparla tra qualche giorno, probabilmente il 28 dicembre, per consentire, nel frattempo, “un approfondimento tecnico in coerenza con la Legge di bilancio in via di approvazione”.

Correzione in corsa

Questa almeno è la versione ufficiale diffusa da Palazzo Chigi al termine della riunione. A quanto è dato di capire, quindi, è possibile che i conti del provvedimento sull’Irpef non si incastrino più con quelli della Manovra e quindi s’impone una revisione alla ricerca di una copertura finanziaria che sarebbe venuta a mancare. L’ipotesi è che gli emendamenti, pochi in verità, approvati nei giorni scorsi possano aver assorbito una parte delle risorse destinate inizialmente a far fronte all’accorpamento delle aliquote dell’Irpef. C’è bisogno di tempo, quindi, per metter mano ai numeri e approvare un provvedimento che nelle settimane scorse ha già ricevuto semaforo verde da entrambi i rami del Parlamento.

Fonti del ministero dell’Economia riconducono il rinvio a un semplice inconveniente tecnico, senza effetti per quanto riguarda le ricadute concrete per le tasche del contribuente. Va detto però che insieme al taglio delle aliquote slitta di qualche giorno anche un'altra misura che invece riguarda le detrazioni dell’Irpef, cioè gli oneri che possono essere sottratti all’imposta in una quota percentuale fissata per legge. E qui l’effetto della riforma finisce per innescare un inedito conflitto d’interessi che riguarda da vicino i parlamentari e la politica nel suo complesso.

I tagli

Infatti, nel disegno della riforma proposta dal governo era prevista anche l’introduzione di una decurtazione delle detrazioni pari a 260 euro per tutti i contribuenti con reddito annuale superiore a 50 mila euro. Il taglio, recitava il testo originale del decreto legislativo, riguardava tutti gli oneri detraibili, con l’eccezione delle spese sanitarie.

La tagliola, quindi era destinata ad abbattersi sulle spese per interessi sui mutui, quelle per l’istruzione, dall’asilo nido all’università, le attività sportive e anche le erogazioni liberali a favore del volontariato, di enti del terzo settore e anche dei partiti politici. Nelle scorse settimane, però, durante l’esame del provvedimento nelle commissioni parlamentari, è stata approvata una modifica del testo che ripristina la detrazione per tutti i tipi di erogazione liberale. Il taglio infatti avrebbe sottratto risorse al mondo del no profit, portando benefici tutto sommato limitati alle casse pubbliche.

Conflitto d’interessi

La retromarcia, però, se verrà confermata nei prossimi giorni, va anche a beneficio della politica. Infatti, la prevista decurtazione di 260 euro era destinata a colpire anche le erogazioni a favore dei partiti, che sarebbero diventate fiscalmente meno vantaggiose. Gli stessi partiti che ora si apprestano a cancellare la norma che li avrebbe danneggiati.

Vale la pena notare che la detrazione vale anche per le centinaia di parlamentari che versano una parte del loro stipendio nelle casse del partito in cui militano. In pratica, quindi, salvando le detrazioni dal taglio previsto nella riforma fiscale, i parlamentari fanno anche un favore a sé stessi. Le cifre in ballo non sono enormi. Secondo i calcoli del governo, il taglio di 260 euro avrebbe fruttato un risparmio complessivo di 250 milioni per le casse dello Stato. Anche nell’ipotesi che le erogazioni liberali ai partiti rappresentino solo una parte marginale di questa somma, il vantaggio per i partiti si tradurrebbe comunque in svariati milioni. Una somma tutt’altro che trascurabile visti i bilanci, in generale tutt’altro che floridi, dei movimenti politici.

Pochi vantaggi

Scampato pericolo, quindi, ma la correzione in corsa sulle detrazioni finisce per confermare le perplessità espresse da più parti sul provvedimento che riduce le aliquote Irpef. Un provvedimento che costa circa 4 miliardi di euro, ma avrà effetti per il solo 2024 e dovrà essere rifinanziato caso di proroga anche per il 2025. Non solo. A conti fatti, i vantaggi concreti per i contribuenti si riducono nella quasi totalità dei casi a poche decine di euro all’anno. Vantaggi, come detto, che sono confermati solo per il 2024. I benefici maggiori sarebbero andati ai redditi più elevati, quelli sopra i 50 mila euro annui. Ecco perché il governo è corso ai ripari con il taglio delle detrazioni. Un taglio che andrà a colpire solo i contribuenti che dichiarano al fisco più di 50 mila euro. Strada facendo, però, si è scoperto che la scure avrebbe tagliato i fondi anche degli enti no profit. Partiti compresi. Da qui l’inversione di rotta, a tutto vantaggio anche di deputati e senatori.

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