Una riunione lampo del Consiglio dei ministri – meno di tre quarti d’ora in tutto - ha dato via libera a una manovra finanziaria che prova a riempire di contenuti lo slogan che il governo va ripetendo da mesi. «Difendere il potere d’acquisto di lavoratori e famiglie a basso reddito», questo il mantra di un esecutivo che si trova ad affrontare una cronica penuria di risorse a cui si aggiunge una crescita del Pil in frenata nel contesto di uno scenario globale complicato come mai prima d’ora, tra guerre, tassi elevati e prezzi ballerini dell’energia.

Ebbene, gli 82 articoli del testo che verso fine mese arriverà in Parlamento per l’approvazione definitiva confermano le anticipazioni dei giorni scorsi a proposito di un intervento che costerà complessivamente circa 24 miliardi alle casse dello Stato, di cui quasi due terzi – 15,7 miliardi – saranno finanziati facendo nuovo debito. Il resto delle coperture resta invece appeso a misure dal gettito quanto mai incerto, come la spending review dei ministeri, che dovrebbe fruttare circa 2 miliardi, l’introduzione della Global minimum tax da circa 3 miliardi e la franchigia di 260 euro che dovrebbe servire a tagliare i costi per l’erario di deduzioni e detrazioni fiscali.

Nel quadro complessivo tracciato dal governo, i provvedimenti bandiera, quelli che dovrebbero «dare sollievo ai redditi medio bassi», per usare le parole del ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, sono due. E cioè la conferma del taglio del cuneo fiscale per chi guadagna fino a 35 mila euro l’anno e la riduzione da quattro a tre degli scaglioni dell’Irpef, accorpando i primi due con un’unica aliquota al 23 per cento per i redditi fino a 28 mila euro annui. Queste due misure, che da sole assorbono oltre 14 miliardi, varranno solo per l’anno prossimo.

In altre parole, tra 12 mesi il governo sarà costretto a trovare nuove risorse per confermarle anche nel 2025. Non c’è nessun intervento strutturale, quindi, anche se il viceministro dell’economia, Maurizio Leo, ha presentato la riduzione delle aliquote Irpef, inserite in un decreto a parte, come il primo passo della riforma fiscale. Non solo. Secondo quanto affermato da Giorgetti, la revisione degli scaglioni dovrebbe essere coperta da una specifica voce del bilancio dello stato, il “Fondo per la riduzione della pressione fiscale”, che vale circa 4,5 miliardi. In altre parole, risorse stanziate per una riforma complessiva del sistema tributario verranno bruciate per un intervento una tantum.

Strada facendo, il governo si è accorto che l’accorpamento delle aliquote Irpef avrebbe finito per favorire anche i redditi più elevati. E così, con l’obiettivo di concentrare sui meno abbienti le scarse risorse a disposizione, e anche per finanziare in parte il taglio delle tasse, l’esecutivo ha inserito in manovra una franchigia sulle detrazioni Irpef. In pratica, chi guadagna più di 50 mila euro l’anno dovrà scalare 260 euro dai costi che vengono portati in riduzione dell’imposta. Le spese mediche, ha assicurato Leo, resteranno detraibili per intero. La franchigia dovrebbe invece applicarsi su altre voci come gli interessi sui mutui prima casa, le spese scolastiche e universitarie, le erogazioni liberali.

L’esigenza di far cassa in tempi brevi ha quindi costretto il governo a rimandare a data da destinarsi una riforma complessiva delle cosiddette tax expenditures, cioè il lungo elenco di agevolazioni fiscali che costano 180 miliardi all’anno allo Stato e di cui da tempo viene invano annunciato il riordino. Al momento, peraltro, non è chiaro quanto potrà valere la nuova franchigia introdotta dal governo. L’ambizione sarebbe quella di arrivare a 450 milioni.

Quest’ultima, del resto, non è l’unica misura, tra quelle annunciate dall’esecutivo, di cui non è agevole prevedere il gettito. La spending review dei ministeri, pari al 5 per cento di tutte le spese discrezionali – ha detto Giorgetti – dovrebbe fruttare 2 miliardi. Una somma enorme se paragonata alle poche centinaia di milioni che annunci simili hanno prodotto negli anni scorsi.

Molte incognite gravano anche sui risultati concreti dell’applicazione a partire dal 2024 della cosiddetta “Global minimun tax", cioè l’aliquota minima d’imposta del 15 per cento per i grandi gruppi multinazionali e anche nazionali prevista dagli accordi in sede Ocse e Ue. L’incasso per lo Stato, nelle aspettative dell’esecutivo, dovrebbe arrivare a 3 miliardi, ma anche in questo caso sono molti gli esperti a nutrire dubbi che questa cifra venga effettivamente raggiunta.

Il governo però non può permettersi di mancare il bersaglio. Oltre ai 15,7 miliardi che verranno trovati aumentando il debito pubblico, per chiudere i conti della manovra sono necessari altri 8 miliardi. Una somma che, tra l’altro, dovrà andare a finanziare due voci di spesa tra le più rilevanti tra quelle annunciate dell’esecutivo: il rinnovo dei contratti della pubblica amministrazione, che costano circa 5 miliardi, e gli aumenti per il personale della sanità per una cifra compresa tra i 2 e i 3 miliardi.

Il governo ha poi annunciato anche un’altra misura che, almeno nelle intenzioni dovrebbe andare a favorire l’occupazione, visto che prevede uno sgravio fiscale per le aziende che assumono pari al 20 per cento del maggiore costo del personale rispetto all’anno precedente, sgravio che sale al 30 per cento per chi assume lavoratori delle cosiddette categorie svantaggiate, tra cui, per esempio, gli ex percettori del reddito di cittadinanza.

L’elenco delle misure a favore delle famiglie comprende anche, secondo quanto annunciato, “asilo nido gratuito” a partire dal secondo figlio, la decontribuzione totale (cioè lo Stato paga i contributi previdenziali) per le donne lavoratrici «con tre figli fino ai 18 anni del più piccolo», un mese supplementare di congedo parentale. Su questi punti, come su altri provvedimenti annunciati, come la riduzione del canone Rai da 90 a 70 euro, i finanziamenti destinati al Ponte di Messina, gli interventi sulle pensioni a partire dall’introduzione di Quota 104 al posto della vigente Quota 103, è più che probabile che nei prossimi giorni il governo definisca meglio i dettagli delle misure, finora presenti solo in bozza.

Così come è attesa anche la conclusione della partita sulla rete di Tim, in cui il governo si è impegnato a intervenire come socio di minoranza al fianco del fondo americano Kkr con una spesa per il Tesoro di oltre 2 miliardi. Nella notte tra domenica e lunedì è arrivata l’offerta vincolante dell’investitore Usa a cui se ne aggiungerà un‘altra a parte per la rete dei cavi sottomarini che fanno capo a Sparkle, società controllata dal gruppo telefonico.

Il consiglio di amministrazione di Tim esaminerà «senza indugio» l’offerta per la rete, di cui non è stato reso noto il contenuto, mentre Giorgetti, presentando la manovra, si è limitato a precisare che lo Stato «non si sta tirando indietro».

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