I recenti interventi del governo in materia di lavoro hanno riacceso il dibattito sui contratti a termine in Italia. Nel corso degli ultimi trimestri la crescita degli occupati a termine è rallentata, con un calo di 85mila unità tra il marzo 2022 e il marzo 2023, e nei primi mesi del 2023 i dati mostrano come il numero di trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato sia in crescita.

La quota di occupati a termine sul totale dei lavoratori dipendenti (16,9 per cento) è ancora superiore di 2,9 punti rispetto alla media Ue27 ma in leggera diminuzione. Il nodo critico resta però la quota di occupati a termine tra i giovani con quelli tra i 15 e i 24 anni che hanno una percentuale superiore di 10 punti rispetto alla media Ue, e lo stesso vale per i giovani tra i 25 e i 34 anni.

Ed è questa la fascia più preoccupante, perché la percentuale è tra le più alte d’Europa e riguarda una coorte anagrafica nella quale si immagina che si sia in parte raggiunta una certa maturità professionale. E invece i dati sembrano dire altro, mostrando come si rischi di rimanere bloccati all’interno di queste tipologie contrattuali senza che vi sia spazio per una stabilizzazione. Infatti Eurostat mostra come in Italia, in media, solo il 19,8 per cento delle persone con una occupazione a termine la vede trasformata, l’anno successivo, in una a tempo indeterminato, questo rispetto a una media Ue del 27 per cento.

L’Olanda, ad esempio, è un paese nel quale la quota di occupati a termine è elevata, ma il 44 per cento si trasforma entro tre anni, lo stesso vale per la Svezia. Questo fa supporre che la quota di giovani occupati a termine sia a maggior rischio di rimanere in questa condizione, generando una polarizzazione tra loro (un terzo degli occupati giovani) e l’altra fetta di popolazione. Sicuramente incide la quota di tirocini extra-curriculari che nel 2021 erano 275mila tra gli under 35 e che spesso sono reiterati presso aziende differenti contribuendo ad allungare la fase di lavoro temporaneo a conclusione degli studi.

L’importanza dei dati

Questi dati sono particolarmente importanti per orientare le politiche del lavoro in materia di occupazione giovanile e di lavoro temporaneo. Perché tali politiche non hanno la stessa natura di quelle rivolte a lavoratori più maturi, considerato che la fascia giovanile vede una incidenza maggiore di alcune tematiche.

Di certo il nodo sul quale è urgente intervenire è quello della reiterazione di contratti brevi o brevissimi, che dovrebbero (al contrario di quanto si è fatto negli ultimi anni) avere un costo maggiore, favorendo i contratti a termine più lunghi aventi maggior possibilità di conversione a fronte di un investimento sulla persona nel tempo.

Ulteriore elemento sul quale intervenire riguarda la riduzione delle disparità salariali tra lavoro temporaneo e lavoro permanente, che sono in parte causa dei bassi salari perché alcune voci dello stipendio sono riconosciute solo ai permanenti. C’è poi il nodo dell’accesso al credito per il quale nella maggior parte dei casi viene richiesto un contratto a tempo indeterminato, e lo stesso vale per gli affitti.

Occorre ragionare, e in pochi lo stanno facendo, su fondi di garanzia a riguardo. Da ultimi, ma sono solo alcuni esempi, la regolazione di tirocini per i quali andrebbe limitato alle imprese un utilizzo continuativo per le medesime posizioni da coprire e un vero rilancio dell’apprendistato di primo e di terzo livello, vero strumento di occupabilità che può anticipare al periodo scolastico la fase di conoscenza tra impresa e lavoratori così da portare poi alla stabilizzazione del rapporto al suo termine.

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