La premier Giorgia Meloni aveva deciso di presentarsi all’ultimo giorno disponibile prendendosi tutti gli amministratori delegati delle partecipate di stato, che insieme valgono qualcosa come 150 miliardi di quotazioni in Borsa. Ha scelto nomi non scontati guardando anche, ma non solo, al Quirinale, rinunciando a cambiarne due su cinque, e facendo imbestialire gli alleati. La presidente del Consiglio è partita dalla convinzione di giocarsi una partita personale sugli amministratori delegati di Enel, Poste, Leonardo e Terna – Descalzi all’Eni non è mai stato messo in discussione –, e di non poter tradire le promesse fatte mesi fa a Stefano Donnarumma e a Roberto Cingolani, che a palazzo Chigi si mantengono come si mantenevano a Colle Oppio. Ma non c’è riuscita e ha dovuto rinunciare a molto.

Cattaneo e Scaroni all’Enel

E cioè a dare a Stefano Donnarumma la poltrona di Enel, che invece ha lasciato il posto di amministratore delegato che fu guidato da Francesco Starace a Flavio Cattaneo, cioè il manager esperto, vicepresidente esecutivo di Ntv e per tre volte ad di Terna su cui puntava Matteo Salvini.

Ha dovuto cedere anche su Paolo Scaroni, richiesta avanzata da Gianni Letta per Forza Italia, e quindi cedere anche sulle sue credenziali di atlantismo senza se e senza ma. Ha mantenuto però la scelta, apprezzata trasversalmente, di nominare il comandante generale della guardia di finanza Giuseppe Zafarana a presidente di Eni. E non ha mollato sulla casella di Leonardo, affidandola contro ogni previsione a Roberto Cingolani, sostenuto anche da Claudio Descalzi. E alla presidenza l’ex rappresentante Nato in Afghanistan, Stefano Pontecorvo, questa sì una prova di atlantismo.

Il suk infinito

I rapporti di forza con Lega e FI, era il ragionamento di Meloni, sono dalla sua, i sondaggi anche. Ma nella sua convinzione di prendersi il bottino senza pagare un prezzo alto, non ha fatto i conti con l’effetto collaterale, più istantaneo e concreto della sua strategia: cioè l’apertura di un suk infinito su ogni casella con gli alleati. E non solo sulle presidenze o sui consiglieri da infilare nei consigli di amministrazione, che dovranno essere peraltro pieni di donne, per bilanciare la mancanza ai vertici, ma su tutto quello che sarà nel potere della politica decidere da qui alle prossime settimane se non mesi. Insomma, da un tavolo che non si doveva aprire, i tavoli di trattative si sono moltiplicati all’infinito, e anche la posta degli amministratori delegati è stata ribaltata.

Meloni ha dovuto cedere, anche per mettere fine a una gestione caotica mai vista sulle nomine, con lo slittamento dell’accordo fuori tempo massimo rispetto a quanto la stessa maggioranza aveva fatto trapelare e il ministro che teoricamente sarebbe competente, Giancarlo Giorgetti, costretto a rinviare la partenza per gli Stati Uniti, dove peraltro ha in agenda gli incontri con le agenzie di rating per rassicurare sulla posizione finanziaria italiana.

Se doveva essere il pontiere del suo leader Matteo Salvini, Giorgetti non l’ha fatto nel migliore dei modi, in compenso ha confermato le sue migliori doti democristiane: era pronto a mettere la firma sull’intesa finale, senza prendersi le responsabilità delle scelte.

Il leader leghista, però, non era d’accordo.

Salvini non aveva capito per tempo che per ogni casella che riempiva in anticipo, a partire dalla presidenza di Mps, assegnata quasi per competenza territoriale–elettorale, nello schema si toglieva la possibilità di rivendicarne una nel momento cruciale della partita, ma alla fine ha ribaltato lo schema e ha costretto la presidente del consiglio a scegliere tra Donnarumma e la prima amministratrice delegata donna, Giuseppina di Foggia. Ieri le liste di Terna non erano incluse nel primo comunicato del Mef.

Un premio speciale in tutta la vicenda va al ministro Francesco Lollobrigida, esautorato come tanti da Meloni nella partita ma che, dopo gli scontri frontali di martedì e ancora nel pieno delle trattative, ha dichiarato: «A me sembra che il clima sia molto sereno e tutte le forze della maggioranza stanno lavorando in termini sinergici per arrivare alla scelta e all’individuazione delle persone». Almeno l’umorismo non manca.

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