Avremo ancora un’Europa unita tra qualche anno? Noi speriamo di si, ma le premesse non sono buone. Avanzano spiriti nazionalistici non solo nei partiti di destra che li enunciano apertamente, ma anche nelle forze politiche che più si erano battute per un’Unione Europea sempre più stretta e connesse cessioni di sovranità nazionale. Sotto il mantra di una riscoperta delle politiche industriali, sono stati rivalutati gli aiuti di stato alle imprese.

Ma, invece di immaginare una politica europea di aiuti alle imprese centralizzata a Bruxelles, si propugna un ritorno delle politiche nazionali, che erano state soppresse nel passato per evitare fratture nel mercato interno e concorrenza sleale tra Stati nel sostenere le proprie imprese. È così che i paesi che dispongono di maggiori spazi per la spesa pubblica, potranno aiutare maggiormente le loro imprese a fronte di paesi, come il nostro, dove un forte debito pubblico ci inibisce ulteriore spesa pubblica. E, se non sarà possibile per noi difenderci con maggiori spese, lo faremo attraverso qualche regolazione studiata apposta per far fronte all’aggressività commerciale dei nostri vicini.

Ciò che porterà a nuove infrazioni comunitarie, nuove dispute, nuove ritorsioni e, alla fine, una nuova frammentazione geopolitica all’interno della stessa Unione Europea. L’abolizione degli aiuti di Stato in Europa non era stata una scelta ideologica di stampo liberista, quanto una necessità per creare un mercato interno senza alterazioni politiche, come è logico che sia in un mercato unito. Se ogni Stato aiuta a modo suo le imprese sul proprio territorio, il mercato si frantuma in tanti mercati nazionali come era prima dell’Unione.

Ben venga il ritorno alla politica industriale, ma questa dovrebbe essere fatta a livello europeo, dove eventuali sostegni vengono dati indipendentemente dalla nazionalità dell’impresa ma solo sulla base della loro adesione a obiettivi europei. Con il ritorno degli aiuti di stato nazionali, avremo il paradosso che si possono aiutare le imprese che si faranno concorrenza tra di loro all’interno del mercato europeo, mentre il permanere della politica antitrust europea sta impedendo fusioni tra imprese transfrontaliere che potrebbero fare una migliore concorrenza fuori dall’Europa: è questo il caso, ad esempio, delle resistenze della Commissione Europea alla fusione tra Lufthansa e ATI che potrebbe generare un vettore aereo capace di competere sulle rotte intercontinentali.

Il campo dell’energia appare quello dove da subito si stanno aprendo altre brecce nell’Unione, e ciò malgrado il fatto che l’Europa è nata proprio sulla politica comune dell’energia, come testimoniano la Ceca e L’Euratom. La Germania, che ha dovuto fare una forte riconversione energetica dopo il blocco delle importazioni del gas dalla Russia, sta spendendo ingenti risorse per favorire l’indipendenza energetica. L’Italia, che si è lanciata su un costoso piano di bonus case per il risparmio energetico, punta ad un non meglio precisato Piano Mattei che dovrebbe trasformarci in un hub energetico nel Mediterraneo.

La Francia continua a puntare sul nucleare malgrado esso sia considerato contrario alle scelte ambientali europee. Anche sul piano dei rapporti internazionali si assiste a una sempre maggiore disarmonia tra paesi. I rapporti con la Cina sono oggetto di tensioni a livello europeo con la Commissione che minaccia dazi e tariffe, mentre alcuni Stati riallacciano rapporti amichevoli di scambio (Francia e Germania), ed altri fanno marcia indietro (Italia che è uscita dal progetto della Via della seta). In queste condizioni, c’è da chiederci se le prossime elezioni porteranno a una maggiore coesione o al contrario esalteranno questa tendenza alla frammentazione europea.

C’è purtroppo poco da sperare. La crescita della destra estrema porterà il parlamento europeo su posizioni più nazionalistiche. Né c’è da aspettarsi che il permanere della guerra in Ucraina possa far nascere una difesa europea che potrebbe costituire un nuovo elemento di unione europea. È ben più probabile che le vicende belliche rafforzeranno la Nato, dove la coesione resta elevata ma il perimetro di paesi coinvolti non coincide con l’Europa e il centro decisionale è decisamente fuori dell’Europa.

È stato più volte detto che l’Europa non si costruisce con singoli atti o trattati, ma è un processo continuo che si adatta di volta in volta alle circostanze. Sarà così e quindi dobbiamo aspettarci un periodo di pausa e forse di regresso prima di poter riprendere, si spera, la via dell’Unione. Armiamoci di pazienza.

© Riproduzione riservata