Un governo quasi tecnico e un’area liberale spaccata. Non si tratta dell’Italia questa volta, ma dell’Olanda, dove Geert Wilders ha vinto le elezioni a novembre e negli ultimi giorni ha trovato una quadra per formare un governo. La svolta è arrivata grazie all’appoggio dei liberali che entreranno nel nuovo esecutivo, ma dall’Aja le conseguenze rischiano di riflettersi anche in Europa.

A comporre la maggioranza olandese sarà il Partito della libertà (Pvv) di Wilders, il Nuovo contratto sociale (Nsc), i populisti del Movimento agricoltori cittadini (Bbb) e soprattutto il Partito popolare per la libertà e la democrazia (Vvd), cioè il partito liberale guidato fino a un anno fa da Mark Rutte.

Una scelta controversa, criticata sia dentro lo stesso partito sia dai “cugini” di D66, l’altra forza olandese di Renew, rimasta fuori dall’accordo. Il premier sarà una figura terza, l’ex ministro Ronald Plasterk. Tuttavia il sovranista Wilders, noto per le sue dichiarazioni islamofobe e radicali, raccogliendo l’appoggio dei liberali ha provocato un piccolo sisma non solo in Olanda, ma in tutta Europa.

Gli equilibri europei

Sondaggi alla mano, uno spostamento della governance a Bruxelles e Strasburgo verso destra non è da escludere, per via della crescita dei Conservatori guidati da Giorgia Meloni e di Identità e democrazia, il gruppo di cui fa parte la Lega e lo stesso Wilders. C’è ancora margine per far sì che la maggioranza europeista tra socialdemocratici, liberali e popolari possa mantenersi, ma tutto dipenderà dai numeri che emergeranno a giugno.

A essere decisivi saranno i seggi dei centristi liberali, che però - come avviene nel Partito popolare europeo - sono tutt’altro che uniti sull’ipotesi di una chiusura completa a destra. Quanto avvenuto in Olanda lo ha confermato: il “cordone sanitario” che da tempo vige in Europa per isolare gli estremisti può essere rotto, dividendo anche le formazioni liberali, ed è uno scenario che aleggia su Bruxelles.

Le crepe tra i liberali

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Nonostante sia riconducibile a dinamiche nazionali, in molti nel gruppo Renew hanno storto il naso in merito alla scelta del Vvd di abbracciare la destra sovranista. La reazione iniziale è stata l’imbarazzo, anche solo per l’intransigenza che Renew ha sempre dimostrato sugli intrecci tra le forze moderate e le figure più estremiste. Come nel 2022, quando il gruppo dei liberali criticò aspramente i socialdemocratici per avere tra i propri membri il partito populista Smer fondato da Robert Fico, l’attuale premier in Slovacchia ferito il 15 maggio. Critiche che portarono alla sospensione di Smer dal Pse a ottobre.

Il fatto che oggi un partito di Renew sia al governo con un personaggio come Wilders, in un paese storico dell’Ue, mina la credibilità della famiglia liberale. E lo fa a poche settimane dal voto. Un altro elemento non gradito dentro Renew, infatti, è stato proprio il tempismo con cui è stato ufficializzato il nuovo asse all’Aja. L’intesa nei Paesi Bassi, infatti, non è necessariamente una novità: in Finlandia e in Svezia negli ultimi due anni i partiti liberali hanno appoggiato coalizioni con forze di estrema destra. Ma l’imminenza delle elezioni contribuisce a creare un caso che dall’Aja oltrepassa i confini olandesi.

La vicenda ha riscosso reazioni diverse nei liberaldemocratici italiani di Renew. Sandro Gozi, di Italia Viva ma in corsa in Francia per le europee con il Partito democratico europeo, oltre che uno dei tre lead candidate del gruppo, a Domani non solo ha espresso il proprio disaccordo ma è andato oltre: «Chi ritiene che quello dell’Olanda sia l’antipasto di ciò accadrà in Ue dopo il 9 giugno è in errore o in malafede. Come Pde siamo fermi sul nostro categorico rifiuto di qualsiasi alleanza con l'estrema destra del Parlamento europeo. Renew Europe è l’argine contro tutti gli estremismi e in antitesi con tutte le forze sovraniste, che appartengano a Ecr o a Id. Su questo siamo e saremo irremovibili».

Da Azione invece nessun commento, mentre i LibDem europei, presenti nella lista Stati Uniti d’Europa, prima hanno pubblicato sui social un post attaccando la scelta del Vvd per poi rimuoverlo dopo le critiche di alcuni esponenti su una posizione interna evidentemente non concordata.

La linea di Hayer

Lunedì 20 maggio è intervenuta la leader di Renew Valérie Hayer, indicando la rotta: restare alleati con Vvd «è un’opzione inaccettabile» visto che il partito di Wilder «non rispetta i nostri valori». «La mia linea rossa è chiara: il cordone sanitario lo abbiamo sempre rispettato. Fa parte dei valori assoluti del gruppo e assumerò le mie responsabilità all’indomani delle elezioni», ha detto la macronista in un’intervista.

Ma dentro Renew la tensione è alta. A schierarsi a favore dei cugini olandesi, sono stati i danesi del partito Venstre. Morten Lokkegard, vice presidente all’Eurocamera di Renew, ha attaccato Hayer: «È triste vedere questa situazione per questioni interne francesi. Se vogliono Hayer, Macron e i loro proseliti possono lasciare».

Il Vvd potrebbe uscire da Renew, magari per entrare nel Ppe. La decisione però è posticipata al 10 giugno, a urne chiuse, quando si capiranno meglio i rapporti di forza. D’altronde il gruppo centrista non può permettersi defezioni: secondo i rilevamenti, la pattuglia liberale potrebbe perdere una quindicina di seggi, rischiando così di farsi scavalcare dai Conservatori come terzo gruppo. E anche i quattro eurodeputati che Vvd dovrebbe eleggere potrebbero fare la differenza.

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