Il giorno dopo la grande parata diplomatica del vertice Italia-Africa resta un vuoto di contenuti concreti accompagnati da novità che non lo sono. I cinque progetti pilota che Giorgia Meloni «seguirà personalmente» (ha detto proprio così) sono omaggi poco più che simbolici e ancora da definire messi in vetrina da Roma come gradito dono destinato a paesi amici.

Cose tipo la formazione professionale in Marocco, il monitoraggio delle colture agricole in Algeria, pozzi e reti idriche in Congo, un centro agroalimentare in Mozambico. Nulla, per il momento, che giustifichi i 5,5 miliardi di euro con cui Meloni ha promesso di riempire l’involucro del “Piano Mattei”.

Questa è la vetrina, appunto. Una vetrina che gronda enfasi e promesse. Tanto da infastidire Moussa Faki, il presidente della Commissione dell’Unione africana, che nel suo intervento in apertura della conferenza romana ha ricordato la «necessità di passare dalle parole ai fatti».

Ambizioni

È vero, la sostanza va cercata altrove. E qui tornano utili le parole di Claudio Descalzi, l’amministratore delegato di Eni. Lunedì sera, mentre in Senato si erano da poco spente le luci della conferenza organizzata dal governo, Descalzi, ospite in tv di Bruno Vespa, ha voluto ricordare dagli schermi di Rai 1 che l’Africa «ha tantissima energia, tantissimo territorio». Mentre noi, l’Italia, «non abbiamo energia ma abbiamo un grande mercato».

Chiaro, no? Le parole del manager più potente del paese tracciano la rotta della politica estera nostrana verso l’Africa. E, allora, se davvero l’energia è «la chiave di sviluppo per tutti», come ha scandito Meloni nel corso del vertice, il governo di Roma non può fare altro che mettersi in scia alla grande azienda pubblica che in Africa ha messo radici profonde da decenni e sa come gestire i rapporti con le classi dirigenti del posto.

Come ha ricordato Descalzi in tv, l’Eni è «tra i primi investitori» in un continente che si sta trasformando in un enorme serbatoio di gas, prima ancora che di petrolio, da portare in Italia e poi anche oltre frontiera. È il gas che alimenta le ambizioni della multinazionale che fu di Enrico Mattei. Ed è cavalcando queste ambizioni che il governo Meloni si candida a diventare il nuovo hub energetico dell’Europa.

Mozambico e Congo

Ecco, allora, perché la sostanza del piano Mattei non va cercata nella gran parata del vertice Italia-Africa. Per capire meglio basta fare un salto indietro nel tempo al 13 ottobre scorso, quando la premier s’imbarcò per un mini tour con destinazione Repubblica del Congo e Mozambico, forse i due paesi africani più promettenti per il business del gas targato Eni.

Non per niente, all’epoca, la delegazione italiana comprendeva anche Descalzi. Giusto sei mesi prima l’amministratore delegato della multinazionale a controllo pubblico aveva dato via libera in Congo alla realizzazione di un nuovo impianto di liquefazione del gas. Un altro, ancora più grande, sarà avviato nel 2025.

In Mozambico, invece, la presenza di Eni risale a una ventina di anni fa, ma l’ex colonia portoghese è diventata centrale nelle strategie del gruppo in tempi molto più recenti. Non per niente nel bilancio 2022 del Cane a sei zampe si legge che “il Mozambico è un nuovo rilevante hub nel Gnl”.

E infatti i primi carichi di gas naturale liquefatto proveniente da Cabo Delgado, nel nord del paese, sono già arrivati in Italia nel corso del 2023, mentre quantitativi ancora maggiori hanno preso il mare verso altre destinazioni nel mondo grazie agli accordi con BP, uno dei colossi mondiali degli idrocarburi.

Rotta sul Cairo

A ottobre la coppia Meloni-Descalzi, incontrando i due presidenti Denis Sassou N’Guesso (Congo) e Filipe Jacinto Nyusi (Mozambico), ha confermato gli accordi destinati a garantire nuove forniture all’Italia. Lo stesso copione è andato in scena in altri paesi sin dai primi giorni del nuovo governo.

A novembre del 2022 la leader di Fratelli d’Italia, da poco approdata a Palazzo Chigi, è stata ricevuta dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Nei mesi seguenti le cronache hanno dato conto di una serie di accordi che hanno rafforzato la posizione dell’Eni, che è di gran lunga il primo operatore straniero in Egitto nel settore dell’oil and gas.

Un legame destinato a diventare ancora più stretto se, come è stato annunciato nel settembre scorso, il gruppo italiano investirà altri 7,7 miliardi di euro nei prossimi quattro anni. «Questi sono paesi dove se dai ricevi», commentò Descalzi a maggio dell’anno scorso rivelando che il governo del Cairo aveva rinunciato a una parte dei suoi carichi di gnl girandoli all’Italia per riempire gli stoccaggi.

Anche la Libia ha dato molto, per usare le parole del numero uno dell’Eni, che giusto un anno fa a Roma, alla presenza della presidente del Consiglio ha siglato un accordo con l’azienda petrolifera di Tripoli per le estrazioni di gas, il primo in più di vent’anni nel paese devastato dalla guerra civile.

Poca cosa, comunque, rispetto al pronto soccorso garantito dall’Algeria all’Italia a caccia di fornitori alternativi dopo lo stop ai flussi di gas provenienti dalla Russia. In breve tempo, il paese nordafricano è diventato la colonna portante della sicurezza energetica di Roma. Un sostegno sicuramente pagato a caro prezzo, ma i contorni di questi nuovi accordi sono rimasti un segreto ben custodito tra l’Eni e il governo.

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