L’amministratore delegato di Unicredit Andrea Orcel ha festeggiato ieri risultati record per il 2022, «i migliori in dieci anni», che hanno portato il titolo della banca italiana a guadagnare in Borsa un +12,3 per cento.

Gli utili netti del gruppo sono cresciuti del 40 per cento sull’anno precedente: 5,25 miliardi che saranno destinati, previa autorizzazione della Banca centrale europea, per 1,91 miliardi a pagare i dividendi dei soci, e per altri 3,34 miliardi a un piano di buy back, e quindi di riacquisto delle proprie azioni, che andrà a sostenere il prezzo del titolo e quindi, di nuovo, il portafoglio degli azionisti.

Dopo aver superato in positivo le previsioni sui conti dell’anno appena concluso, per quello che verrà la banca si attende un risultato simile. Così, mentre organizza il piano di riacquisto di azioni in due tranche, la più corposa per 2,34 miliardi subito dopo il via libera dell’assemblea del 31 marzo, si è presentata di fronte agli analisti con stime molto prudenti sul futuro, in particolare sul fronte del rialzo dei tassi.

No di Orcel a Mps

In questo quadro di prudenza va letta anche la chiusura di Orcel rispetto a una possibile operazione di “fusione” con il Monte dei paschi di Siena, anche se sarebbe meglio parlare di acquisizione. «Sono felice» che Mps abbia «un piano di ristrutturazione e ho fiducia che facciano un buon lavoro», ha commentato l’amministratore delegato di Unicredit a proposito della banca senese ma le condizioni per una operazione al momento non ci sono: «Se in futuro, magari un futuro molto lontano, ci sarà un’opportunità vedremo, oggi non è così».

Le condizioni elencate da Orcel sono quelle ideali per i suoi soci: l’eventuale aggregazione «non deve impattare sul nostro piano, sulla distribuzione agli azionisti e deve avere un senso industriale».

La dichiarazione è arrivata, per coincidenza, nello stesso giorno in cui Consob ha deciso di togliere Mps dalla black list degli istituti che, fino a oggi, erano tenuti ad aggiornare su base mensile le informazioni sulle proprie condizioni finanziarie. Accogliendo la richiesta presentata da Mps, l’authority ha però solo diluito l’obbligo, facendolo proseguire con cadenza trimestrale.

Ogni tre mesi Mps dovrà quindi informare sullo stato di avanzamento «del piano industriale e finanziario, con l’evidenziazione degli scostamenti dei dati consuntivati rispetto a quelli previsti».

Dal rispetto di quegli impegni dipenderà di fatto anche la possibilità di acquisizione dell’istituto da parte di altre banche, rigorosamente italiane, come vuole il governo di Giorgia Meloni.

Dopo la ricapitalizzazione da 2,5 miliardi e, soprattutto, dopo la chiusura di ulteriori filiali chieste dalla Commissione europea e i quattromila esuberi del piano industriale in corso, la dote che l’eventuale acquirente potrebbe chiedere al governo dovrebbe ridursi di molto. Ma l’esecutivo vuole comunque muoversi per tempo per non arrivare all’ennesima scadenza con l’Unione europea senza essere in grado di rispettarla.

Il piano industriale di Unicredit, a cui Orcel chiaramente dà la priorità, ha l’orizzonte del 2024. Ma il governo non può permettersi di attendere, né di ritrovarsi con un solo possibile interlocutore. Tutti “errori” che il partito di Meloni ha imputato all’ex direttore del Tesoro Alessandro Rivera - protagonista della negoziazione con la banca di Orcel - e che non vuole ripetere.

La strategia del governo

In attesa della riorganizzazione del ministero dell’Economia - ci vorranno almeno due-tre mesi calcolavano al Mef nei giorni del siluramento di Rivera - e quindi in attesa che venga individuato “il mister partecipazioni” a cui il governo detterà la linea, il braccio destro della premier con delega all’Attuazione del programma, Giovanbattista Fazzolari, ha già iniziato ad avere interlocuzioni con il mondo bancario. E ha rifiutato già possibili operazioni a regia unica (sembra che Intesa Sanpaolo l’avesse ipotizzata in autunno quando si discuteva della partecipazione delle fondazioni alla ricapitalizzazione).

L’esecutivo non vuole trovarsi in una posizione di debolezza con una sola via d’uscita e per questo punta a coinvolgere più di un istituto bancario.

Certamente tra gli interlocutori del governo c’è Intesa Sanpaolo, che si presenta sempre più come banca di sistema ma anche Bper e Banco Bpm. Alcune casse di previdenza azioniste del banco, peraltro, hanno già contribuito alla ricapitalizzazione da 2,5 miliardi.

Non è nemmeno detto che Unicredit non possa cambiare idea, ma se così fosse dovrebbe impegnarsi ben prima della fine della realizzazione del piano industriale e non sarebbe certamente la sola invitata al tavolo.

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