È tempo di previsioni. Particolarmente incerte, quest’anno, dopo un 2022 pieno di imprevisti. Gli scenari elaborati da società di investimento, newsletter e istituzioni economiche presentano una inedita dispersione delle previsioni. Mi azzardo a dire la mia.

Inflazione

PRODUCTION - 01 December 2022, Hessen, F'rth: Baker and pastry chef Sebastian Schupp takes a tray of "inflation breads" out of the oven in the bakery at Knabberding Bakery. This is baked with dried bread from the previous day. (to dpa "Bakers fear closures in crisis - "inflation bread" at the counter") Photo by: Sebastian Gollnow/picture-alliance/dpa/AP Images

La sorpresa negativa di quest’anno. Potrebbe esserlo in positivo nel 2023, calando più rapidamente del previsto.

Negli Stati Uniti, 30 per cento dell’indice è legato alla casa, ma con l’impennata dei mutui, i prezzi delle case e gli affitti sono in netta discesa, anche se gli effetti non saranno immediati; calano i margini delle imprese, che non riescono a scaricare i maggiori costi e aumentano le scorte di prodotti invenduti; le aspettative implicite nei sondaggi e nei mercati finanziari sono ancorate e in discesa; le disfunzioni nelle filiere di produzione e nella logistica superate; la crescita dei salari nei servizi è più il risultato del ritorno a un’economia post pandemica, che il rischio di una inflazione da costi; e il prezzo della benzina è crollato di un terzo rispetto al picco.

A ben vedere più o meno le stesse ragioni valgono per l’Europa, a maggior ragione perché non ci sono eccessi di domanda di consumo né spinte dal lato dei salari, e i prezzi di gas e petrolio, dopo i picchi legati alla guerra, sono tornati ai livelli di fine 2021.

Dubito però che si torni stabilmente al 2 per cento, obiettivo delle banche centrali, perché il prezzo dell’energia rimarrà elevato, ed è venuto meno l’effetto deflattivo della Cina, che ha agito come “manifattura” a basso costo del mondo. Più probabile che l’inflazione si stabilizzi a un livello un po’ più alto, ponendo le banche centrali di fronte a una difficile decisione.

Tassi di interesse

La sorpresa dell’inflazione ha portato a un rialzo dei tassi di una rapidità mai sperimentata in passato.

Le banche centrali hanno dichiarato l’intenzione di non ridurli fino a quando si avranno chiari segnali di mitigazione della dinamica dei prezzi.

Inoltre hanno avviato il quantitative tightening, mai sperimentato prima d’ora, che pone fine ai massicci acquisti di titoli, invertendone il processo.

Ma gli effetti della politica monetaria agiscono con ritardi difficili da stimare e i mercati finanziari prevedono tassi troppo alti, troppo a lungo, aggravando l’inevitabile rallentamento fino a causare una recessione, specie in un’Europa alle prese con la crisi energetica.

Credo invece che la retorica anti inflazionistica delle banche centrali, Fed e Bce in primis, sia in parte dovuta alla necessità di ricostruirsi una credibilità dopo non aver previsto l’inflazione, ma che, di fronte al rischio di una grave recessione, con le crisi finanziarie e gli elevati costi sociali che questa recessione comporterebbe, porranno fine ai rialzi prima del previsto, con grande gioia dei mercati e degli investitori.

Le banche centrali probabilmente si fermeranno prima di raggiungere il 2 per cento di inflazione, senza però cambiare ufficialmente obiettivo.

In fondo non esiste alcuna evidenza empirica che un crescita dei prezzi intorno al 2 produca indubbi vantaggi rispetto a una intorno al 3: anzi molti economisti sostengono il contrario, vista la grande variabilità nella dinamica dei prezzi dei servizi domestici rispetto a quelli esposti al commercio internazionale

Cina

L’economia cinese è stata nell’ultimo ventennio il motore della crescita mondiale e la principale fonte di deflazione. Ma che negli ultimi tre anni è stata congelata per via della rigida politica di contenimento del Covid, e dagli effetti depressivi di una grave crisi immobiliare di cui non si vede la fine.

L’improvvisa eliminazione delle restrizioni è un esperimento dalle conseguenze ignote.

La riacquistata libertà di movimento dei cinesi darà sicuramente un forte impulso alla domanda dei beni di consumo, di servizi per il tempo libero e renderà più efficienti le filiere di produzione incrementando il commercio internazionale, contribuendo così alla crescita mondiale.

Ma c’è il rischio della diffusione di nuove varianti Covid, e della pressione che la crescita cinese eserciterà sulla domanda di energia e di materie prime, rendendo improbabile una discesa dell’inflazione al 2 per cento.

Dollaro

 La forza di una moneta dipende dalla crescita economica e dai tassi di interesse reali.

La divergenza tra la forte ripresa della domanda americana, e la politica aggressiva della Fed, rispetto a Cina, alle prese con la grave crisi immobiliare e il Covid, all’Europa colpita dalla guerra in Ucraina e della crisi energetica, e al Giappone che ha ostinatamente perseguito la politica dei tassi zero per sconfiggere un decennio di deflazione, spiega il forte apprezzamento del dollaro nel 2022 fino a un picco del 15, 16 e 30 per cento su yuan, euro e yen rispettivamente.

Da ottobre, con la previsione di un rallentamento dell’economia americana e l’allineamento delle politiche monetarie nel mondo alla Fed, l’apprezzamento della divisa americana ha toccato un massimo e il movimento si è invertito.

Credo che il tempo del super dollaro sia terminato, ma che in assenza di un’improbabile grave recessione americana, non vedremo un vero trend di deprezzamento della moneta Usa, ma oscillazioni correlate con la retorica della Fed.

Caro energia e transizione 

30 December 2022, Baden-Wuerttemberg, Stuttgart: Cars drive past a price board at a gas station in the early morning. Photo by: Christoph Schmidt/picture-alliance/dpa/AP Images

L’eccesso di offerta di fonti fossili aumenterà nel tempo, perché la crisi energetica darà una forte spinta allo sviluppo delle rinnovabili e al risparmio energetico, anche grazie agli incentivi che i governi stanno mettendo in campo.

Il costo dell’energia è destinato dunque a scendere, sia perché nel tempo crollerà la domanda delle fossili, sia perché gli investimenti nelle rinnovabili e nelle fonti alternative (come biomasse o idrogeno) ne abbatteranno i costi di produzione, grazie alle economie di scala.

Difficilmente rivedremo i picchi nel prezzo di petrolio e gas provocati dalla guerra in Ucraina (dovuti all’incertezza di uno shock inatteso) ma la transizione sarà lunga, come lunghi i tempi per un calo sostenuto del suo costo.

La ripresa in Asia provocherà una competizione per il gas e petrolio ora destinato all’Europa; il taglio degli investimenti nelle fossili (destinati a essere poco redditizi) metterà un limite alla discesa dei prezzi, come pure le varie forme di tassazione delle emissioni che i governi impongono; e i paesi esportatori delle fossili cercheranno di tenere alti i prezzi per massimizzare i ricavi che servono a finanziare la transizione delle loro economie.

Debito pubblico italiano

Crisi politica e un nuovo governo formato da partiti con un passato dichiaratamente nazionalistico (se non “euroexit”); il più forte aumento dei tassi da quando c’è l’euro; la fine del quantitative easing; una finanziaria tutta mance e bonus finanziati a debito; una montagna di titoli in scadenza da rifinanziare; le stupide, inconcludenti e controproducenti polemiche anti Bce, Mes e Comissione europea: ovvero, tutto quanto poteva nuocere allo spread del nostro debito, che però rimane stabile poco sopra i 200 punti, ben al di sotto dei livelli raggiunti al tempo del governo gialloverde. Nessun problema in vista quindi?

Sfortunatamente per noi gli investitori si focalizzano su pochi elementi alla volta: inflazione, Fed, rischio recessione, guerra in Ucraina e riapertura della Cina polarizzano oggi l’attenzione.

Ma se, come penso, le varie situazioni si stabilizzeranno nel corso dell’anno, la sostenibilità del nostro debito tornerà ad essere nel mirino dei mercati.

Sarà la volta buona per la rete unica di Tim, una vera privatizzazione di Ita, il rilancio definitivo di Mps, Ilva e Saipem, o il ritorno di Rai alla redditività? Non ci scommetterei un euro. Qui, lo scetticismo è d’obbligo.

© Riproduzione riservata