Avverto qualcosa ai fondelli, una strana sensazione di presa, nell’assistere allo sconcertante dibattito, per me non economista, sui danni all’economia e al mercato finanziario che verrebbero dall’andarsi a prendere qualche soldo di tasse dagli extraprofitti delle banche.

Trovo sublime, cioè appeso sulla soglia del non senso, seguendo una delle possibili etimologie della categoria estetica, l’argomento che il prelievo di quattro, poi ridotti a due, e forse uno, miliardi di tasse avrebbero già generato infliggendo alle banche nove miliardi di perdite sul loro corso azionario.

Mi ricorda un po’ nella sua sottesa oscenità, che spiegherò, l’argomento di qualche decennio fa, all’esplosione della diportistica di massa, che un milione di lire in più sulla tassa per i natanti che superavano i 13 metri, vado a memoria, avrebbe fatto chiudere i cantieri, inducendo una crisi occupazionale del settore. In sostanza per ripicca chi spendeva mezzo miliardo di lire per un natante al sovra costo fiscale di mille euro non comprava più la barca, affittava un pedalò, o la domiciliava in Dalmazia.

Se questo Paese i c… ce li avesse, penso che se li farebbe girare. Ma, insomma, se non si possono tassare le banche e in genere gli extraprofitti del complesso militare-industriale o della farmaceutica, se non si possono tassare i tassisti e i balneari, in questo Paese dei Balocchi chi si può tassare? Solo i predestinati, cioè reddito fisso e pensionati? Una nuova teologia tributaria della predestinazione al prelievo? Vuoi vedere che il senso della “morte di Dio” era questo?

Ricordavo che lo Stato moderno nasce con il legame tra tasse e legislazione: “No taxation without representation”. Quindi delle due l’una: o le banche e gli extra-profittatori non sono rappresentati, ovvero siamo nella post-modernità: la legislazione la fa chi non paga le tasse. Meno paghi più determini il “sovrano”, o i nostri più modesti governi. Ma allora chiudiamolo lo Stato. Al bando la sua funzione di connessione tra economia e società, che una volta si chiamava redistribuzione della ricchezza per garantire un minimo di tenuta sociale.

Tartasso o detasso questo è ormai l’amletico dilemma che calca la scena del dibattito pubblico (a pagamento degli interessati, per lo più) pur di non tassare chi non vi è predestinato. Il diritto tributario pare più morto del diritto del lavoro. Magari si può fare qualche ulteriore risparmio sulle cattedre delle già sottofinanziate università italiane. Ma poi una domanda di ingenuità assoluta: ma se il mercato non paga le tasse, perché il parlamento e il governo dovrebbero “ascoltarlo”, cioè rappresentarlo?

Sarà pure morta, insieme al Buon Dio, l’economia sociale di mercato, e qualche sua responsabilità (anche costituzionale dalle nostre parti), ma un po’ di società “civile” nel senso basico della decenza economico-sociale pure no? Possibile che l’oro alla Patria debba essere dato solo dalle fedi degli altri? Gli zaffiri, i diamanti, i lingotti non si fondano mai nel bene comune?

Gesù, sto diventando marxista. Non volevo. Posso però assicurare il governo, che il popolo minuto ma largo non si dispiace se tassa banche, armi, Big Pharma. Anche di più, per favore. Non è populismo. È popolo, che guarda basito al brivido che scorre sulla schiena dei banchieri, e perché non indossino un cachemire, ché se lo possono permettere.

© Riproduzione riservata