Il Consiglio discuterà oggi alle 17 la controversa questione delle concessioni balneari. Lo farà 24 ore prima della discussione fissata domani alla Camera sulla mozione proposta da Fratelli d’Italia, in cui si chiede di non applicare ai balneari la direttiva europea sulla messa a gare delle concessioni pubbliche.

Quindici anni dopo l’entrata in vigore della direttiva Bolkestein, due anni dopo l’apertura della procedura di infrazione della Commissione europea sulla mancata messa a gara delle concessioni balneari, quattro mesi dopo il pronunciamento del consiglio di stato a sezioni riunite che ha confermato la necessità delle gare a partire dal primo gennaio del 2024, in parlamento si discute ancora di escludere balneari e ambulanti dalla direttiva, sfidando questo governo e Mario Draghi a far valere la sua autorevolezza in Europa (Fratelli d’Italia), di necessità di capire se la Bolkestein va applicata anche alle spiagge (Forza Italia), di prendersi più tempo per una ricognizione (gruppo Misto).

La divisione non è tra la maggioranza di governo e l’opposizione di nonostante la discussione di ieri sia stata avviata da una mozione del partito di Giorgia Meloni pensata apposta per mettere in difficoltà la tenuta della maggioranza.

L’unica vera divisione è tra il M5s, che pur avendo proposto con la Lega la proroga delle concessioni fino al 2033 nel 2018, ora si è convintamente convertito sulla via di Bruxelles, e con Sergio Battelli è stato l’unico partito a chiedere di prendere in considerazione oltre agli interessi dei balneari anche quelli di tutti gli altri cittadini, considerando la «tutela dei beni comuni» e la necessità di avviare le gare non perché «ce lo chiede l’Europa», ma perché è necessario per l’Italia.

Al momento l’amministrazione centrale dello stato non sa nemmeno quante e a chi siano affidate le concessioni, distribuite a canoni irrisori a spese di tutti i contribuenti che poi sono gli stessi che pagano per accedere alle spiagge in uno dei paesi con meno spiaggia libera d’Europa. Solo tra 2020 e 2021 le concessioni sono cresciute del 12 per cento, ma nel frattempo possono essere anche passate di mano: unico bene pubblico su cui i privati possono fare compravendita tra loro.

I difensori, innumerevoli, delle ragioni delle imprese balneari sottolineano sempre gli investimenti attuati, e sarebbe strano se gli investimenti non ci fossero stati, considerato quanto poco pagano le imprese per le concessioni pubbliche.

Dal Pd a Forza Italia

In parlamento, ieri, però la difesa della lobby è andata molto oltre. Il Partito democratico da sempre ha affidato il dossier a Umberto Buratti, ex sindaco di Forte dei Marmi e famiglia nel comparto, che appena pronunciata la sentenza del Consiglio di stato spiegava già ai giornali locali come aggirarla, e a Piero De Luca, figlio di Vincenzo, altro difensore degli interessi della categoria.

Ieri ha parlato il secondo e, mirabile impresa, è riuscito a non dire niente: «È giunto il momento di fare chiarezza», «Abbiamo il dovere di dare stabilità e certezze agli operatori del settore», «Dobbiamo avviare una fase nuova», la soluzione si trova «mettendo da parte la propaganda e le bandierine ideologiche».

Alessandro Battilocchio di Forza Italia, feudo elettorale nel comune di Tolfa, al contrario ha detto di tutto di più. Ha rivendicato che il partito di Berlusconi ha contribuito alle proroghe di Lega e Cinque stelle, estendendole anche alle «concessioni fluviali e lacuali» con un particolare attenzione alle strutture per la nautica e ai posti barca.

Ha detto che i balneari sono «da 17 anni sotto il tiro della magistratura amministrativa», ha accusato il Consiglio di stato di sostituirsi al legislatore, di aver dato per deciso quello che ancora non è stato deciso. In sostanza secondo Battilocchio non sarebbero state provate le pre condizioni per applicare la Bolkestein, cioè il fatto che le spiagge siano un bene scarso – difficile dimostrare che le spiagge si possano moltiplicare o che non ci sia rischio erosione, ma tant’è – e che siano servizi e non beni. Insomma, per Fi non è ancora detto che il diritto europeo valga.

Antonio Tasso, gruppo Misto, che viene dal Gargano e quindi ha «particolare sensibilità verso chi su quelle coste ha fondato il proprio progetto di vita», dice che sì, la riforma a questo punto si deve fare, ma bisogna domandarsi, ovviamente retoricamente: «Ce le faremo a individuare entro il 2023 la percentuale di spiagge libere? Non ci serve un po’ più tempo?».

Al termine della discussione, Fabio Rampelli di Fdi ha addirittura paventato un «tracollo di ampi settori dell’economia».

La Lega ha fatto sapere che se non ha firmato la mozione di Fratelli d’Italia potrebbe presentarne una separata a nome del partito. Il testo della maggioranza non è ancora pronto. Un’altra discussione è stata fissata per mercoledì 16 febbraio, ma il governo sembra pronto a evitare l’ennesima frattura nella coalizione, accelerando le decisioni. 

A Palazzo Chigi c’è ormai la consapevolezza che si andrà allo scontro. Tanto è chiara l’opposizione dei partiti al rispetto della direttiva europea che il cerchio ristretto del premier aveva ipotizzato un percorso indolore, una operazione trasparenza simile a quella proposta sul catasto.

Rendiamo pubblici i dati dei canoni pagati e delle concessioni affidate e speriamo che, una volta messi in chiaro, si crei una pubblica opinione favorevole alla messa a gara e alla riscrittura delle regole su un bene pubblico così rilevante. Una soluzione, però, che di fronte alla solidità del diritto europeo, con una lettera in mora della Commissione Ue e quindici anni di ritardo, è a dir poco impraticabile, oltre che non necessariamente efficace.

Così il dossier balneari dovrebbe essere finalmente sul tavolo del prossimo consiglio dei ministri che potrebbe tenersi in giornata.

 

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