Ancora prima di varcare per la prima volta la soglia della grande stanza dell’Eurogruppo, nella parte riservata del palazzo del Consiglio Ue, il nuovo ministro delle finanze tedesco Christian Lindner (Liberali) gela le speranze francesi di aprire una discussione sulla riforma del patto di stabilità. «Parteciperemo al dibattito sul Patto di stabilità e crescita che ci aspettiamo davvero inizi a giugno, quando conosceremo le proposte della Commissione europea», dice Lindner nel consueto incontro con i giornalisti a cui i ministri europei si sottopongono prima dell’inizio delle riunioni.

European Union

È una risposta formalmente impeccabile, che dimostra rispetto per l’istituzione che ha il potere di iniziativa legislativa in Europa. Allo stesso tempo è un biglietto da visita gelido per la Francia che ha praticamente aperto il suo turno di presidenza con una presa di posizione chiara, co-firmata con l’Italia, sulla riscrittura delle nuove regole fiscali e della gestione del debito accumulato durante la crisi pandemica. La presidenza francese termina a fine giugno e in mezzo ci sono le elezioni presidenziali in cui Emmanuel Macron si gioca il rinnovo (primo nei sondaggi più recenti, al secondo posto sempre Marine Le Pen).

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Per di più l’affermazione di Lindner arriva a un Eurogruppo che invece era stato preparato ufficialmente per aprire la discussione. Tanto che la lettera di invito mandata ai leader includeva una nota sulla governance economica preparata dalla segreteria dell’Eurogruppo e dell’Eurogroup working group, il cruciale gruppo tecnico che accompagna le negoziazioni tra i ministri delle finanze.

Titoli di stato e banche

Di più, Lindner ha citato al suo arrivo un altro argomento molto pesante nei negoziati europei: «È importante anche per l’Unione bancaria risolvere il nesso tra banche e debito sovrano». Il problema è quello di evitare spirali come quelle viste nella crisi del debito, per cui le banche con in pancia i titoli di stato venivano trascinate nelle crisi dei conti pubblici. Negli anni sono state proposte molte formule tra le quali anche alcune molto difficili da digerire per paesi come l’Italia, come prezzare maggiormente il rischio legato ai titoli di stato. Nell’ultima fase della cancelleria Angela Merkel tuttavia la Germania non ne aveva più fatto una linea rossa, lasciando la bandiera piuttosto a paesi come l’Olanda. E non si tratta di una dichiarazione peregrina: tra le priorità della presidenza francese, come elencate dal ministro francese Bruno Le Maire, ci sono il vago obiettivo di «costruire una nuova prosperità europea» ma anche l’approvazione della direttiva europea sulla Minimum global tax e l’Unione bancaria su cui i lavori e le trattative si trascinano da nove anni.

Insomma, nel complesso un biglietto da visita tagliente, quello di Lindner. Capace di mettere in ombra l’invito pronunciato a inizio dei lavori dal commissario agli affari economici Paolo Gentiloni : «Non siamo qui per ripetere vecchie discussioni ma affrontiamo una situazione completamente nuova per il livello del debito».

Patto di crescita

Sull’altra sponda, Le Maire ha riassunto la posizione dell’Eliseo in una formula mediaticamente efficace: «La crescita viene prima della stabilità, infatti bisognerebbe cambiare il nome del patto in “Patto di crescita e stabilità”». Non è servito a molto: «Penso sia io che Bruno siamo politici realistici, ed entrambi non siamo dei sognatori sull’ulteriore sviluppo del Patto di stabilità». Rigorista anche la posizione dell’Austria. E oscillante quella dell’Olanda con la nuova ministra Sigrid Kaag, del partito D66, liberali progressisti. E tuttavia proprio l’attesa di una proposta della Commissione europea lascia margine alle richieste di Francia e Italia.

Sono moltissime le voci all’interno delle istituzioni europee che chiedono non solo una semplificazione ma anche un cambiamento profondo del Patto di stabilità a favore degli investimenti, tra debito e investimenti bisogna trovare «un equilibrio intelligente», dice Lindner. A partire dallo European fiscal board, il gruppo di esperti di politiche fiscali a cui la Commissione europea si appoggia.

C’è poi il fatto che la Commissione Ue ha molte volte preferito soluzioni federaliste e la proposta italo-francese va in questa direzione. Parigi e Roma, infatti, chiedono di replicare il modello Next Generation Eu e in questo modo finanziare progetti di investimento condizionati con debito europeo. Un’altra proposta, nata in seno al think tank Bruegel e molto discussa dalle parte di Bruxelles, è semplicemente lasciare spazio di manovra agli stati nazionali per gli investimenti verdi.

Solo pochi giorni fa, in un incontro organizzato dalla Banca europea degli investimenti, Marco Buti, capo di gabinetto del commissario Gentiloni, ha dichiarato che il rischio di questa seconda ipotesi è che tutti i tipi di investimento si trasformino «magicamente» in soldi verdi, rivendicando invece la possibilità di controlli più severi nel caso di una capacità fiscale in seno alle istituzioni europee. Allo stesso modo la proposta italo-francese ha un pregio non da poco che dovrebbe essere molto apprezzato dai tedeschi: rende più agile l’indipendenza della Banca centrale europea. Tanto è vero che la parte della proposta relativa alla gestione dei debiti pandemici, che prevede la nascita di una agenzia del debito, come spiegano gli stessi autori, «è stata costruita a partire da varie conversazioni con Massimo Rostagno», cioè il direttore generale della Banca centrale europea.

A complicare le cose potrebbe esserci il fatto che l’Italia che propone queste riforme non ha ancora ratificato, con altri quattro paesi, la riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Ma l’ultima versione della proposta praticamente accantona l’idea, contemplata nel primo intervento, che il Mes possa trasformarsi nell’agognata agenzia del debito. Il programma NextGeneration Eu, è spiegato, ha dimostrato che basta l’autorità dell’Ue sugli stati membri per avere un debito a tripla A e non complessi sistemi di garanzie infrastatali. In questo modo l’agenzia, sottolineano, avrebbe una capacità fiscale più simile a quella di un governo. Il negoziato italo-francese insomma sembra spostare il piano tra federalisti e nazionalisti dei bilanci.

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