Ho letto che è nato anche un indice di Esg (che valuta la sostenibilità ambientale, sociale e di governance aziendale) delle azioni di Piazza Affari più importanti. Vedendo alcuni nomi che compaiono ho delle perplessità. Non è che si sta esagerando con queste etichette, presentando come “sostenibili” e con il bollino Esg anche le aziende che non lo sono pienamente? Non è tutto un grande greenwashing: non si sta dando una bella pitturata di verde e sostenibile anche a chi non lo è?
P.


Caro P,

le sue riflessioni non sono peregrine ed è spesso opinabile anche il fatto che le società certificate con “bollini” e simili “certificazioni” siano davvero sostenibili. La stessa Securities and Exchange Commission, l’autorità di controllo della Borsa americana, ha deciso di mettere da tempo sotto esame l’industria Esg. Gli sforzi di migliorare gli standard di valutazione di questo mondo sono importanti e il mercato sta andando in questa direzione, ma rimane ancora molta strada da fare.

Riguardo Piazza Affari, dal 18 ottobre è stato lanciato il Mib Esg, il primo indice Esg (Environmental, social and governance) dedicato alle blue-chip italiane, pensato per individuare i grandi emittenti italiani quotati che presentano le migliori pratiche Esg. Si parla ovvero di imprese che rispettano criteri di sostenibilità (ambientali, sociali e di governance, ovvero relativamente al rispetto del pianeta, dei propri clienti, di democrazia ed equità interna, pari opportunità, trasparenza e lotta alle discriminazioni).

L’indice Mib Esg combina la misurazione della performance economica con valutazioni Esg in linea con i principi del Global compact delle Nazioni unite. La composizione dell’indice si basa sull’analisi dei criteri Esg da parte di Vigeo Eiris (V.E.), società di Moody’s Esg Solutions, che valuta le performance Esg degli emittenti.

E al suo interno si trovano – ad oggi – 40 compagnie, tra cui Eni, Banca Generali, Mediaset, Stellantis (ex Fiat), Telecom, Unicredit, Intesa, Hera… Colpiscono certamente diverse presenze e anche assenze.

Il confronto

Per esempio, se si confronta l’indice Ftse Mib tradizionale e storico con quello Esg è interessante notare le differenze e analogie. Compare nel Mib Esg, per esempio, il colosso dell’energia Eni e a qualche ambientalista la cosa può far rizzare i peli, e non compare Leonardo (ex Finmeccanica) per la sua presenza nel settore degli armamenti seppure proprio questa settimana la società, guidata da Alessandro Profumo, abbia ottenuto da un pool di banche una linea di credito da 600 milioni di euro legata a specifici indicatori Esg tra cui la riduzione delle emissioni di CO2 attraverso l’eco-efficienza dei processi industriali e la promozione dell’occupazione femminile con lauree nelle discipline scientifico-tecnologiche.

Dal confronto nel nuovo indice Mib Esg emergono curiosamente fra gli esclusi società big del risparmio gestito come Azimut e Fineco (sono presenti invece Banca Generali e Anima), Campari (alcolici), Diasorin (diagnostica), la holding degli Elkan/Agnelli Exor, la società delle torri 5g di Telecom Italia, Inwit e la società specializzata in tubi per l’industria petrolifera Tenaris della famiglia Rocca Tenaris, Buzzi Unicem, Interpump.

Fra i promossi invece nel Mib Esg rispetto al Mib40 ci sono Anima Holding (risparmio gestito), Brembo (freni), Erg e Falck Renewables (rinnovabili), Iren, Mediaset, Reply (software), Salvatore Ferragamo, Unipol Sai e Webuild (costruzioni).

I criteri

La metodologia alla base dell’indice prevede una graduatoria delle migliori 40 società sulla base di criteri Esg, selezionate tra le 60 italiane più liquide, escludendo quelle coinvolte in attività non compatibili con investimenti Esg. Le componenti dell’indice sono ponderate in base alla capitalizzazione del flottante di mercato.

Inutile dire che queste tassonomie sono sempre opinabili e infatti non sono mancate alcune polemiche. Peraltro, far parte di questo tipo di indici è oggi importante perché molti flussi di risparmi si dirigono in questa direzione perché sempre più fondi e fondi pensione nel mondo hanno come policy quello di includere solo titoli Esg. E di converso essere esclusi dai titoli “sostenibili” può non essere una bellissima cosa.

La valutazione per determinare se un’azienda è allineata o meno si basa su 10 princìpi che possono essere raggruppati in quattro pilastri: ambiente, diritti umani, diritti del lavoro, corruzione. Tutto bene quindi? Alcune riserve sono lecite e, per esempio, Davide Dal Maso, partner della società Avanzi (società specializzata in progetti di innovazione e sostenibilità) si è fatto qualche domanda se queste operazioni non abbiano una componente «potenzialmente mistificatoria della realtà dell’economia nazionale». Dire che 32 società quotate fra le 40 a maggiore capitalizzazione sono Esg può far intendere che l’80 per cento dell’economia italiana sia “sostenibile” e la cosa è forse un filino esagerata.

E diversi addetti ai lavori più smaliziati hanno sollevato le ciglia su alcuni criteri molto laschi che consentono di essere considerati “social”. Un indicatore positivo è avere un basso tasso di assenteismo (inferiore al 3,5 per cento circa) e il non avere avuto controversie gravi negli ultimi due anni con l’Ufficio dell’alto commissario delle Nazioni unite. Soglie evidentemente che rischiano di abbassare troppo l’asticella per far diventare “todos caballeros”, tutti Esg. L’aumento dell’1,5 per cento in 5 anni della dimensione “women in management” viene valutato poi come “increase“ e fa punteggio Esg. Secondo diversi osservatori questi criteri, per essere molto più credibili (e non rischiare di passare per greenwashing), dovrebbero essere più stringenti e sfidanti.

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