Sono 15 anni che per Alitalia (ora Ita Airways) è in programmazione lo stesso film il cui titolo potrebbe essere «Privatizzazione caos». Nell’ultimo remake la novità è che questa volta i protagonisti sono i sei consiglieri di un pletorico consiglio di amministrazione formato da 9 persone che si sono dimessi.

Le motivazioni ufficiali della decisione sono fumose: si parla di lavoro portato a termine, anche se non è chiaro di quale lavoro si tratta dal momento che la compagnia lanciata con grande sforzo propagandistico il 15 ottobre di un anno fa non è mai riuscita a decollare sul serio. E non si capisce neanche perché sei consiglieri decidono che la missione è compiuta e se ne vanno mentre altri tre restano.

Secondo interpretazioni non ufficiali i sei se ne sarebbero andati all’improvviso perché contrariati dalla circostanza che al gruppo di advisor scelti da Ita per avviare quella che eufemisticamente viene definita la scelta del partner e che nella realtà è una vendita, il ministero dell’Economia guidato da Daniele Franco ha affiancato un secondo team che riferisce direttamente al ministero stesso, azionista al 100 per cento di Ita.

In realtà in questo modo di procedere incongruenze ce ne sono, ma non così stridenti da giustificare da sole l’improvvisa uscita di scena di due terzi del consiglio di amministrazione.

Doppio team

Nella normalità dei casi l’azionista sceglie il management per la guida della società a cui lascia ampi margini di manovra salvo ritirarglieli se non è contento delle scelte effettuate. Quindi è abbastanza insolita la procedura di nominare due advisor per una stessa scelta, uno dell’azienda e uno del proprietario. Ma Ita, come è noto, non è un’azienda normale. La duplicazione degli advisor è il risultato di due circostanze strettamente collegate.

La prima è il tempo, la seconda è la privatizzazione. Sono passati due mesi da quando il Consiglio dei ministri ha dato il via libera alla vendita di oltre 50 per cento della compagnia, ma la privatizzazione che ne sarebbe dovuta conseguire non ha fatto un passo avanti nonostante ci sia una scadenza ufficiale a giugno. E ciò è successo non per responsabilità dei potenziali acquirenti iniziali, la grande compagnia navale Msc di Gianluigi Aponte e la compagnia aerea tedesca Lufthansa, che anzi avrebbero voluto chiudere in fretta. Ma perché si riaffacciano, anche se per ora solo dietro le quinte, i dubbi politici sulla privatizzazione stessa, soprattutto nell’area Pd.

Le dimissioni di gruppo hanno a che fare con questo insieme di problemi. Il presidente Alfredo Altavilla sostiene che vuole passare alla fase due, cioè concludere in fretta la vendita di Ita con i soggetti che dal suo punto di vista ritiene più affidabili, cioè la coppia Msc-Lufthansa. Però da quando l’operazione è stata avviata dal Consiglio dei ministri a ora sono successe tante cose.

La prima è che la vendita di Ita non può avvenire a trattativa privata solo con Msc e Lufthansa, la seconda è che è stata indetta una gara, la terza è che si sono aggiunti altri pretendenti. Uno è Indigo, fondo americano attivo nel mondo del business dei voli, proprietario di 6 compagnie low cost, che al momento pare giocare solo il ruolo di terzo incomodo. Il secondo è Air France-Klm con l’aggiunta del fondo americano Certares, la stessa Air France-Klm che 15 anni fa era arrivata a un passo da Alitalia, ma che all’ultimo momento è stata impallinata da Silvio Berlusconi, il quale in piena campagna elettorale voleva mettere i bastoni tra le ruote all’operazione avviata dal nemico Romano Prodi.

«Diverse sensibilità»

I consiglieri di amministrazione dimessi erano portatori di quelle che con un eufemismo vengono indicate da Ita come «sensibilità diverse», cioè dirigenti che non condividono le scelte del presidente e che più o meno cordialmente sono stati accompagnati alla porta.

L’azienda fa sapere che in questo modo si velocizza il percorso di vendita, ma è una mezza verità, perché ora come tre lustri fa il punto non risolto è come privatizzare. Cedere Ita a Msc e Lufthansa significa far scendere l’attuale azionista ministero dell’Economia sotto il 50 per cento.

Scegliere Air France-Klm avrebbe, invece, uno sbocco diverso, si tratterebbe non di una privatizzazione secca, ma di una sorta di partenariato. Air France al momento può entrare in Ita solo con una quota di minoranza perché non ha ancora restituito allo stato francese il prestito ottenuto per il covid e quindi non può ambire ad assumere la proprietà di un’altra compagnia.

© Riproduzione riservata