- La maggioranza delle società della filiera energetica italiana è a partecipazione pubblica. A giudicare dai risultati, la strategia è stata mettere il cappio russo al collo del nostro paese.
- Una volta che lo stato è azionista di una società con una posizione dominante la sua regolamentazione diventa oltremodo difficile perché l’Autorità preposta, oltre all’influenza del potere economico e relazionale del regolato, subisce quella del governo.
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Paghiamo un costo enorme non solo in termini di cattiva governance, strategie costose per il paese e poca concorrenza, ma anche congelando nelle imprese a partecipazione pubblica un enorme capitale.
La crisi energetica, esacerbata dalla guerra in Ucraina, dovrebbe essere l’occasione per una seria riflessione sullo stato azionista. Non sul ruolo dello stato nell’economia o dell’iniziativa pubblica volta a indirizzare l’uso delle risorse o promuovere lo sviluppo, ma dello stato in senso lato (governo, enti locali, e istituzioni a controllo o emanazione pubblica come Cassa depositi e prestiti, Invitalia o F2i) in quanto influente azionista di società, spesso insieme a privati, che operano in



