Il 27 per cento delle risorse totali stanziate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza sono dedicate alla transizione digitale, e nello specifico, con Pa digitale 2026, anche al rinnovamento delle infrastrutture digitali della pubblica amministrazione. Pare quindi che la digitalizzazione del settore sarà manna per i cittadini (soprattutto) italiani, che eviteranno interminabili attese in uffici dagli orari impossibili. Gli altri però, gli stranieri che cercano di farsi strada in un paese che non sempre li considera al pari di chi ci nasce, intanto arrancano. Tra una richiesta di beneficio sociale e l’altra, è su di loro che si vedono chiaramente i risvolti zoppi del processo di ammodernamento del paese, che al posto di favorirli li esclude ancor di più.

Per Mamadou, senza tetto senegalese residente nella provincia di Pescara, il pregiudizio nei contatti con l’amministrazione è doppio - la sua provenienza e la sua situazione di povertà. Il dialogo digitale potrebbe essere per lui un vantaggio, una sorta di schermo rispetto alla sua condizione: basterebbero un computer e un’identità digitale ma se non si ha il primo è difficile avere la seconda, e la pratica online di sostituzione della tessera sanitaria fornita dall’Agenzia delle Entrate non è accessibile in altro modo.

La sua tessera sanitaria è scaduta nel 2020, una questione importante soprattutto per il suo stato di salute precario. Soffre da più di dieci anni di una patologia molto grave e rischia di dover pagare circa 400 euro al mese per le cure mediche, e questo nonostante abbia in mano un permesso di soggiorno illimitato che gli offre una copertura sanitaria obbligatoria. Appurata la necessità di doversi presentarsi allo sportello del Distretto sanitario di base di Pescara per la mancanza dell’identità digitale, al posto di rinnovargli la tessera per pagare le spese mediche, gli avrebbero addirittura consigliato di utilizzare il denaro che riceve come beneficiario di reddito di cittadinanza per curarsi.

Anche se facessimo finta che una legge a garanzia della sua salute non ci fosse, quei soldi non basterebbero. Alla fine, a furia di insistere, l’avvocato che l’ha accompagnato in presenza e ha bussato al vetro che divide le amministrazioni da alcune “categorie” di cittadini, ha strappato un accordo comunque poco dignitoso: la tessera sanitaria ora Mamadou ce l’ha, ma scadrà tra due anni.

Digitalizzazione senza informazioni

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Se anche una persona straniera o senza fissa dimora volesse consultare informazioni online circa i benefici che il welfare sociale del nostro paese mette a disposizione, la situazione sarebbe comunque problematica. Spesso le informazioni sul sito ufficiale di Inps non sono corrette, o non corrispondono alle circolari più recenti che lo stesso ente pubblica. L’assegno unico e universale ad esempio, una misura che aiuta i genitori con figli a carico fino ai 21 anni, tra i beneficiari include ora anche le persone che hanno un permesso di soggiorno per protezione speciale. Nella pagina informativa di Inps questo però non risulta. La stessa pagina web, se tradotta in inglese, risulta praticamente vuota.

Ahmed, nome di fantasia di un 27enne libico, non sapendo come muoversi online sui siti della pubblica amministrazione, ha cercato aiuto in un Caf della città siciliana nella quale risiede. Voleva sapere se esistessero misure di sostegno economico a cui poteva avere accesso. «Ho chiesto un aiuto per pagare le bollette perché durante il Covid non avevo più lavoro», dice raggiunto al telefono. Ahmed lavora in campo edilizio e possiede un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria dal 2015, anno in cui è arrivato dalla Libia. Al Caf ha consegnato tutti i documenti in suo possesso ed è stata avviata la pratica per la richiesta di reddito di cittadinanza.

«Non sapevo di non avere i requisiti [dieci anni di residenza, ndr], non sapevo nemmeno cosa significasse reddito di cittadinanza quando sono arrivato», continua Ahmed. Alla fine del 2021 l’Inps, dopo aver controllato la sua posizione, gli ha contestato la somma di reddito percepita per due anni: 7.800 euro. «Mi sono fidato del Caf, e ho sbagliato perché ora il mio permesso di soggiorno non può essere rinnovato. Dopo aver chiesto il rinnovo alla questura non arrivava, e ho pensato fossero lenti. La verità è che ora mi trovo senza permesso perché ho un debito con Inps che non riesco a pagare», racconta allarmato. E riferendosi a questo limbo nel quale si trova, a metà tra la Libia da cui è scappato per violenza e guerra e l’Italia in cui non ha trovato aiuto, racconta di sentirsi perso. «Ora sono vivo, ma senza aria».

L’ostacolo Spid

Se anche Ahmed avesse avuto i requisiti per fare domanda per il reddito di cittadinanza, il portale messo a disposizione dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali è accessibile unicamente tramite Spid, è solo in italiano e richiede una conoscenza specifica di requisiti, dati e documenti. La Spid è il requisito principe per  accedere a qualsiasi servizio digitale. Per avere la Spid (e non solo) è infatti necessaria una carta d’identità; per avere quest’ultima, una residenza e un permesso di soggiorno (a un certo punto rinnovato). Una matrioska in cui nessun pezzo può mancare, una barriera digitale che diventa un muro spesso.

«La Spid è un grosso ostacolo perché molte persone straniere non hanno la carta d’identità, la stanno aspettando o non sono riusciti a iscriversi all’anagrafe. Non è così scontato per loro poterla ottenere», commenta Paola Fierro, avvocata dell’associazione Asgi che da tempo offre supporto alle persone straniere in Italia soprattutto in materia legale. «Non riuscendo a ottenere la Spid, anche per una barriera linguistica e digitale, molti si rivolgono ai Caf ma un terzo può commettere errori», continua Fierro.

Come è successo a Iyke, un uomo nigeriano di 39 anni, che ha iniziato a percepire il reddito di cittadinanza dopo sette mesi di attesa in cui ha lavorato come ambulante per mantenere moglie e due figli piccoli poco fuori Torino. «Ho pensato che in tutto quel tempo avessero fatto dei controlli e li meritassi quei soldi», dice, «con i quali ho pagato le spese vive, l’affitto, il gas». Le uniche cose che si possono pagare con le somme versate mensilmente dall’Inps, perché non prelevabili né accantonabili. Intanto all’inizio del 2020 è assunto come guardia all’entrata di un negozio, un contratto di lavoro in regola sì ma che gli fa guadagnare «cinque euro lordi l’ora, una paga da schiavo». Alla fine del 2021, proprio quando Inps avvia il lento ingranaggio dei controlli sui percettori di reddito di cittadinanza, ispezioni che dal luglio 2022 vedono coprotagonista anche il ministero della Giustizia, Iyke riceve una lettera: «mi hanno detto che devo restituire più di 5 mila euro, soldi che non ho e che non so dove trovare perché non li ho messi da parte». Spaventato e impotente, anche Iyke si è rivolto agli avvocati Asgi.

Labirinto

(AP Photo/Antonio Calanni)

I percorsi digitali obbligati possono diventare anche un labirinto senza uscita. Da alcuni anni a Roma, Zahara (nome di fantasia) è una donna rifugiata che lavora e cerca di mettere da parte dei soldi. Per aprire un conto alle poste aveva bisogno di un’identità digitale e quindi si è recata allo sportello del comune più vicino a dove vive. Con il permesso di soggiorno in mano l’operatore ha aperto la pratica di richiesta per la Cie, la carta d’identità elettronica, ma ha sbagliato a immettere la data di nascita. Il sistema operativo che genera la Cie attribuisce all’identità della persona anche un codice fiscale che deve combaciare, ovviamente, con quello presente sulla tessera sanitaria. Dato l’errore di digitazione però Zahara risulta «un’anomalia nel sistema», quella che in gergo tecnico si chiama omocodia. Un errore da poco per chi, cittadino italiano, può puntare i piedi e poi tornare a casa a problema risolto. Nella sua condizione per Zahara non è così: la donna non potrà fornire conferma della sua identità, nemmeno con il permesso di soggiorno poiché non è un documento di identità, fino a che l’Agenzia delle Entrate non risolverà il problema. Secondo la relazione della commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, e presentata dall’Agenzia delle Entrate nel 2016, le persone in situazione di omocodia in Italia in quel momento erano più di 70 mila, di cui buona parte straniere.

La digitalizzazione della pubblica amministrazione diventa per loro un’arma a doppio taglio. A volte richiede una forma mentis alla quale le persone straniere non sono abituate, altre volte gli strumenti digitali sono semplicemente impossibili da utilizzare per via di una condizione di vulnerabilità pregressa.

Le persone straniere sono al di fuori del dibattito, nonché dalla digitalizzazione del paese. Ciò che doveva e dovrebbe essere un mezzo per migliorare l’accesso ai servizi è invece strumento di esclusione. Esclusione digitale.

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