Hanno lavorato per mesi fino a metà 2019, hanno rigirato la faccenda da ogni lato, hanno scritto una relazione di 60 pagine pesando e ripesando ogni parola, sono arrivati a conclusioni chiarissime che non lasciano spazio ad ambiguità, le hanno consegnate al ministro che le aveva chieste perché potesse decidere senza improvvisazioni e con cognizione di causa. Nessuno li ha ascoltati.

Foto Valerio Portelli/LaPresse

Ha fatto una brutta fine la relazione sul crollo del ponte di Genova e le responsabilità di Autostrade per l’Italia (Aspi) preparata da cinque esponenti di primo livello dell’alta dirigenza pubblica ed esperti di diritto amministrativo: il presidente Hadrian Simonetti, consigliere di stato, Valter Campanile, avvocato dello stato, Filippo Izzo, primo referendario della Corte dei conti, Lorenzo Saltari, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico, Giovanni Palatiello, avvocato dello stato.

Il Tar sospende la revoca a Toto e dà un altro colpo al governo

Per quella relazione finora tenuta nascosta e di cui Domani ha avuto una copia, consegna e sparizione sono state un tutt’uno. Forse perché i risultati a cui era giunta non risultavano graditi alla politica.

Risultati incontrovertibili: ci sono tutte le condizioni, hanno scritto i componenti della commissione, perché venga ritirata la concessione a Autostrade per l’Italia, che allora era ancora del gruppo Benetton, in quanto è venuta meno agli obblighi di custodia e manutenzione previsti dalla convenzione.

Come è noto, però, la concessione non è stata revocata ai Benetton ai quali, anzi, lo stato ha steso una guida rossa con appuntati a mo’ di ringraziamento assegni per un valore di circa 8 miliardi di euro.

Regalo al demerito

Soldi pubblici, un regalo enorme al demerito acquisito sul campo da Autostrade per l’Italia in un ventennio di gestione non solo a Genova, ma anche in altre circostanze gravi e luttuose.

Come sul viadotto Acqualonga nell’avellinese, 40 morti per un bus impazzito e finito in una scarpata perché le barriere new jersey che avrebbero dovuto evitare il tonfo non hanno retto.

E non per qualche malaugurata circostanza fortuita, ma perché erano tenute male, con i tiranti corrosi, come hanno accertato le indagini dei magistrati. Quella tratta è una delle tante dei 3 mila chilometri complessivi che Autostrade per l’Italia gestiva.

(AP Photo/Antonio Calanni, File)

Letta a fianco di queste storie, la revoca decisa alcuni giorni fa della concessione al gruppo Toto dei circa 300 chilometri della Strada dei parchi, cioè le due autostrade tra Roma, L’Aquila e Pescara, appare come un’evidente ingiustizia.

Ai Toto la concessione è stata scippata dal governo e dal ministero senza che ci fossero presupposti validi per la revoca, non una sentenza di condanna e neanche una relazione dettagliata come quella prodotta dalla commissione ministeriale per Genova che elencasse con precisione le eventuali manchevolezze e i ritardi del concessionario.

Le autostrade dei Toto non sono in buone condizioni, anzi, soprattutto i circa 150 viadotti che contrappuntano il percorso di montagna andrebbero tirati giù e rifatti perché ormai logori e a fine vita e comunque ridotti in uno stato non accettabile per un percorso dichiarato strategico da una legge del 2012 per i soccorsi della protezione civile in caso di calamità nel centro Italia, tipo un terremoto.

Ai Toto non può essere addossata tutta la croce per lo stato pietoso in cui si trovano quei manufatti. Sono almeno 7 anni che il gruppo abruzzese cerca di trovare una soluzione condivisa con il ministero per rifare le autostrade o pezzi di esse a cominciare dai viadotti e per trovarla ha presentato la bellezza di 18 diversi Piani economico finanziari (Pef) che sono i presupposti per poter programmare gli investimenti.

Il ministero li ha rifiutati uno dopo l’altro, spesso senza neanche sentire il bisogno di spiegare perché. Erano tutti pessimi quei piani? Si potevano concordare migliorie? Niente.

Newco Anas

Le autostrade dei Toto finiranno in una newco Anas ancora da costituire, ma che è già la mèta agognata di dirigenti ministeriali propensi a cambiare poltrona. Messe a fianco le due vicende, quella dei Benetton e quella dei Toto, ingenerano la convinzione che per motivi forse non dicibili, governo e ministero delle Infrastrutture abbiano ritenuto i Benetton intoccabili e invece i Toto dei furbastri da mettere in riga. Anche se i manager Benetton sono stati dichiarati colpevoli in tribunale mentre i Toto sono colpevoli di niente.

Le analisi della relazione ministeriale sul crollo di Genova sono lapidarie, elaborate dopo che i dirigenti Benetton avevano inviato faticose controdeduzioni a difesa del loro comportamento.

Ecco le conclusioni del gruppo di lavoro ministeriale: «Il gruppo è dell’avviso che: a) in relazione all’evento del 14 agosto 2018 (il crollo di Genova ndr) sussista l’inadempimento di Aspi agli obblighi di custodia di cui all’articolo 117 del codice civile e di manutenzione di cui all’articolo 3 della convenzione b) tali inadempimenti abbiano il carattere della gravità in relazione all’interesse complessivo affidato alla cura del concedente (cioè lo stato ndr) c) su tali presupposti il concedente abbia il potere di risolvere unilateralmente la convenzione con un provvedimento del dirigente della Direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali (Felice Morisco ndr), sottoposto all’approvazione del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti di concerto con il ministro dell’Economia e delle finanze».

Conclusioni limpide

Scrivono gli esperti del ministero nel paragrafo dedicato agli inadempimenti dei Benetton: «Il rovinoso crollo del ponte, con le enormi conseguenze derivatene, ha sicuramente compromesso la fiducia del concedente sulla idoneità del concessionario di prestare fede ai suoi impegni e, in ispecie, a quelli di mantenimento, in condizioni di sicurezza, della funzionalità della rete autostradale affidatagli in concessione». 

La sciagura ha inoltre coinvolto negativamente gli interessi degli utenti che lo stato deve tutelare, non solo perché ci sono stati purtroppo 43 morti, ma anche per «il pesante nocumento alle comunicazioni stradali in un’area strategica per i traffici commerciali, nazionali e internazionali».

Ai dirigenti Aspi che per difendersi avevano insistito sulla capillarità dei monitoraggi effettuati su ponti e viadotti gli esperti del ministero fanno notare che «il crollo del ponte, certamente dovuto a un cedimento strutturale dell’opera, dimostra a sufficienza l’inaffidabilità dell’intero sistema di monitoraggio, valutazione e manutenzione».

LaPresse La Presse / Tano Pecoraro

Solo come ipotesi subordinata e comunque indotta dalla circostanza che la convenzione stipulata ai tempi del ministro Antonio Di Pietro tra Aspi e stato era inspiegabilmente tutta squilibrata a favore degli interessi dei Benetton e quindi foriera di complicazioni legali, la relazione suggeriva al ministro, che allora era Danilo Toninelli dei Cinque stelle, una soluzione diversa dalla revoca, «rimessa alla valutazione politica o legislativa, volta alla rinegoziazione della stessa Convenzione».

Da lì a non molto Toninelli sarebbe però uscito di scena, travolto dalla caduta del governo dopo le sparate di Matteo Salvini al Papeete. E quindi probabilmente non ha fatto in tempo a prendere le decisioni che forse aveva in testa.

Il suo posto è stato preso da Paola De Micheli (Pd) che nei 16 mesi in cui è stata ministra non solo non ha mai parlato della relazione, ma non ha perso l’occasione per ribadire la sua vicinanza ad Aspi nonostante i 43 morti di Genova. Con lei al governo la relazione è scomparsa. Enrico Giovannini che ha sostituito De Micheli, anche lui Pd, autore del cambio di nome del ministero dei Trasporti che ora si chiama ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili (Mims), non risulta si sia comportato in maniera diversa.

Il ministro Giovannini e il governo hanno deliberatamente preso per Autostrade per l’Italia un indirizzo opposto a quello ritenuto opportuno dalla commissione di esperti ministeriali.

© Riproduzione riservata