L'inchiesta sulle cosiddette plusvalenze e sui falsi in bilancio della Juventus, di cui questo articolo non si occuperà, rivela due strani fenomeni che rendono ormai surreale il grande show business del calcio. Il primo è che il tifoso medio è costretto a diventare esperto di bilanci e finanza per seguire le sorti della squadra del cuore.

Il secondo è che i tifosi, diventati commercialisti all'università dei social come prima erano diventati immunologi, astrofisici e climatologi, leggono bilanci, atti giudiziari e ispezioni Consob con la lente della passione calcistica.

La cosa implica un errore capitale. L'anti-juventino che, accecato dall'odio calcistico, gode per le disgrazie giudiziarie della Vecchia Signora non vede che se cade la Juventus cadono tutte e il giocattolo finisce.

Lo juventino che chiede parità di trattamento e di severità giudiziaria per tutte le squadre ha ragione in astratto, ma se fosse esaudito i suoi amati bianconeri non saprebbero più contro chi giocare.

La verità è che il calcio italiano è una bolla che sta per scoppiare, a prescindere dalla colpevolezza o innocenza dell'ex presidente della Juventus Andrea Agnelli e dei suoi manager più fidati, per i quali la procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio per gravi reati finanziari. Avremo tra alcuni anni sentenze che poco incideranno sulle sorti del calcio italiano.

Nell'immediato conta ciò che farà la giustizia sportiva. Lasciando da parte lo spirito di giustizia, che poco turba i pensieri dei protagonisti del calcio, è abbastanza evidente che il sistema stia già cercando una soluzione soft, un atterraggio morbido, un insabbiamento pilotato.

È l'unico modo per tirare avanti almeno per un po', non per Juventus ma per tutti.

I bilanci

Qui bisogna che il tifoso si adatti a guardare davvero i bilanci e a leggere in mezzo a quei numeri complicati il futuro dell'ex campionato più bello del mondo.

I numeri del 2020-21, l'ultimo campionato analizzato dai tecnici della Federazione gioco calcio (Figc), fanno paura.

Sì, è vero che c'è stato il Covid, ma è anche vero che le cose non andavano bene neppure prima. E che nei due anni di pandemia i ricavi delle squadre di Serie A sono scesi di circa 400 milioni, un 10 per cento, quindi non un dramma rispetto a certe pizzerie, mentre i costi sono cresciuti della stessa grandezza, circa 400 milioni: nonostante la crisi provocata dagli stadi vuoti, le società hanno continuato a strapagare i calciatori e a svenarsi per acquistare campioni talvolta di dubbia caratura.

Come se l'unica cosa che contasse, per presidenti, manager, direttori sportivi, procuratori, allenatori e calciatori, non fosse vincere le partite o magari aggiustare i bilanci ma far girare tutti quei soldi che non si capisce mai bene in che tasche finiscono veramente.

Le plusvalenze

L'architrave di questa giostra impazzita sono le cosiddette plusvalenze. Lo schema di gioco si potrebbe chiamare "partenza dal basso".

La società Virtus e la squadra Onestà si scambiano due giovani promettenti, Totò e Peppino, di cui hanno i rispettivi cartellini messi in bilancio al valore di 1 milione.

Decidono che siccome Totò e Peppino sono molto promettenti, non valgono 1 milione ma 21.

Li scambiano alla pari, senza passaggio di denaro, e così ciascuna mette in conto economico, alla voce "proventi da gestione diritti calciatori", la plusvalenza da 20 milioni che finisce nei ricavi, come se quei 20 milioni fossero stati incassati.

Naturalmente se all'attivo ci sono i 20 milioni mai entrati in cassa, al passivo ci saranno invece 20 milioni spesi davvero, per esempio in stipendi ai calciatori. Ma dove li prendono i 20 milioni mancanti per pagare gli stipendi? In banca, indebitandosi.

Riassumendo: molte squadre di serie A da anni spendono più di quello che incassano ma anziché portare i libri in tribunale pareggiano fittiziamente il conto economico con le plusvalenze e si indebitano con le banche che gli danno corda: nessun banchiere si prenderebbe la rogna di chiedere alla squadra di calcio di rientrare dai debiti facendola fallire perché, a torto o a ragione, temerebbe per la sicurezza sua o della sua famiglia. E quindi si va avanti.

Cinque anni fa il debito delle squadre di serie A era di 3,6 miliardi, adesso è di 4,9, con un incremento del 35 per cento. Poco o tanto? Tantissimo. Il tifoso poco attrezzato si faccia spiegare dal suo commercialista o da un amico più preparato che cosa significa avere un indebitamento pari a 7 volte il patrimonio netto, e a una volta e mezzo il fatturato.

Comunque i numeri base delle squadre di serie A nel loro complesso nel 2020-21 sono questi: 2.995 milioni di ricavi, 3.885 milioni di costi operativi, 1.002 milioni di perdita netta, 4.882 milioni di debiti.

Il caso Juve

LaPresse

Il caso della Juventus è sicuramente il più preoccupante e può essere preso ad esempio, senza che i tifosi juventini se ne adontino. Nel 2020-21 i bianconeri hanno incassato 480 milioni, 93 in meno dell'anno prima. Certo, c'era il Covid, però i ricavi da biglietteria sono scesi di 41 milioni, flessione più che compensata dai diritti televisivi (69 milioni in più).

La botta ai ricavi non è venuta dal Covid ma dalle plusvalenze, scese a 30 milioni dai 166 dell'anno prima, dopo che anche i pur disinvolti manager torinesi hanno capito che era meglio darsi una regolata.

Ma la cosa stupefacente è che, a fronte della crisi drammatica portata dalla pandemia, la presidenza Agnelli ha continuato a far festa con gli stipendi dei "tesserati": 298 milioni, in aumento del 15 per cento sull'anno prima. Poi ci sono gli ammortamenti, altro argomento astruso.

Quando ho scambiato Totò con Peppino, ho fatto la plusvalenza di 20 milioni ma mi sono anche messo in casa un investimento di 21 milioni che va in ammortamento perché quel capitale si consuma rapidamente, i calciatori invecchiano alla svelta e comunque sono vincolati da contratti di pochi anni. 

Ogni anno una quota dei 21 milioni si dissolve e va nelle perdite di bilancio sotto la voce "ammortamenti".

Nel 2021 la Juventus ha fatto ammortamenti per 197 milioni. Sommando i 197 milioni ai 298 milioni degli stipendi si arriva a 495 milioni: i calciatori della Juventus sono costati più di tutti i ricavi.

Ecco perché poi, pagati i palloni, i magazzinieri, il pullman per le trasferte e gli stipendi ai manager la Juventus ha chiuso il bilancio con una perdita di 210 milioni e un indebitamento di 515 milioni, pari a 18 volte il patrimonio netto (mentre nella media della serie A il debito, lo abbiamo visto, è 7 volte il patrimonio netto).

Le plusvalenze sono dunque il doping con cui quasi tutte le squadre di serie A nascondono la propria debolezza. La droga gliela forniscono le banche.

La promessa non mantenuta

Nel 2019, prima del Covid, il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina sembrava deciso a imporre al sistema una bella cura di disintossicazione.

La sera del 10 marzo andò alla Domenica sportiva e in modo sorprendente affrontò in quel programma nazional-popolare il tema iniziatico della plusvalenze con parole durissime: «È nostro compito attenzionare plusvalenze e scambi sospetti. Tutti gli scambi senza finanza vanno segnalati alla procura e segnaleremo alle società di revisione se alcuni elementi danno sospetti, facendole intervenire. E obbligheranno una svalutazione della plusvalenza fittizia».

Qualcosa è successo. Le plusvalenze messe in bilancio dalle squadre di serie A sono cresciute dai 693 milioni del 2017 ai 730 del 2020 (mentre i debiti crescevano di 1.093 milioni), poi nel 2021 si sono più che dimezzate a quota 356 milioni. Ma la malattia del calcio drogato non è regredita.

L'inchiesta sulla Juventus rischia di bloccare il meccanismo e farlo esplodere. Perciò oggi Gravina ha cambiato tono: «Nel mondo dello sport ci sono continuamente forme di degenerazione che comunque devono essere accertate oltre che provate. Eviterei in questo momento ogni forma di processo sommario».

E quanto agli scambi senza finanza, che tre anni fa voleva segnalare inflessibilmente alla procura, adesso si rifugia nella supercazzola, tecnica di comunicazione con cui i manager della Juventus, scopriamo dalle intercettazioni, volevano prendere in giro gli ispettori della Consob: «Dobbiamo capire se possiamo adottare dei criteri che generano comunque delle cautele e delle precauzioni per tenere in seria e debita considerazione le plusvalenze effettive e fare riferimento a quelle che sono legate a scambi di finanza. Ci stiamo lavorando».

In attesa che Gravina finisca il suo lavoro, i tifosi di sponde opposte dovrebbero smetterla di sfottersi e invece abbracciarsi, affratellati dalla comune sventura, come si fa ai funerali.

Se salta il pentolone, anche i tifosi delle poche società sane piangeranno, a meno che non si accontentino di appassionarsi a un campionato a tre squadre.


 


 


 

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