In media un sito web comunale realizzato coi fondi europei è costato 113.000 euro. I fornitori se ne approfittano, a spese delle pubbliche amministrazioni. Il presidente Uncem Marco Bussone conferma la speculazione. E con la fine del Piano il peso di licenze e manutenzioni rischia di sfuggire al controllo
È il dato più sorprendente del primo rapporto sullo stato di digitalizzazione dei comuni, realizzato dal Dipartimento per la trasformazione digitale e dall’Anci, l’associazione nazionale dei comuni italiani. La maggior parte delle risorse stanziate dal Pnrr in questo ambito riguarda la realizzazione o il rifacimento dei siti internet. Le risorse ammontano a oltre 743 milioni per un totale di 6.579 progetti finanziati (di cui l’83% completati). Calcolatrice alla mano, dividendo l’importo per il numero di progetti, fa 113mila euro a progetto. Una cifra “monstre”, superiore persino alla migrazione al cloud che vale circa 697 milioni per oltre 7.600 progetti (che fa 91.500 euro a progetto in media).
Vero è che non tutti i progetti hanno lo stesso peso: stando ai listini ufficiali messi a punto nell’ambito degli avvisi pubblici si va da un massimo di 28mila euro per la realizzazione dei portali istituzionali dei comuni sotto i 5.000 abitanti a un massimo di 500mila euro per quelli sopra i 250.000 abitanti.
E ancora: per ciascun servizio digitale i comuni sotto i 5.000 abitanti possono spendere fino a 12mila euro, mentre sopra i 250.000 abitanti fino a 77mila euro. Ed è proprio nella forbice di questi massimi che sta sfuggendo la situazione di mano. Quanto costa davvero realizzare un sito internet o un servizio digitale? Davvero la discrepanza fra un piccolo e un grande Comune può essere così ampia? In ballo ci sono centinaia di migliaia di euro per Comune se si sommano le singole misure, dalla migrazione al cloud all’AppIO, da PagoPA all’identità digitale e la lista è ben più lunga.
Uncem: «È una bolla»
«La bolla è stata ben gonfiata», dice Marco Bussone, presidente dell’Uncem, l’Unione dei comuni e delle Comunità montane che rappresenta un bacino territoriale pari al 54% di quello nazionale e in cui risiedono oltre 10 milioni di abitanti. «La bolla è stata gonfiata dai fornitori di servizi e ne hanno fatto le spese i comuni. Le aziende hanno alzato i listini: se per un sito internet fino a pochi anni fa si spendevano meno di 5mila euro ora si arriva a prezzi fuori controllo e fuori mercato», sottolinea Bussone che pur puntualizzando che «il lavoro del dipartimento con Uncem è stato ed è molto significativo» aggiunge che «se è vero che i fondi Pnrr hanno consentito di accelerare sui progetti di digitalizzazione, non può non balzare all'occhio l'enorme dispendio di risorse per la realizzazione e l'aggiornamento dei siti internet».
Insomma, lo Stato stanzia risorse e le aziende fiutano «l’affare» facendo lievitare i costi. «Le amministrazioni comunali fanno fatica a capire quale sia la cifra giusta da spendere», spiega ancora Bussone suggerendo che «l'unica via è creare aggregazioni che consentano di ottenere risparmi in fase di contrattazione. Noi di Uncem lo auspichiamo da anni. E ci stiamo lavorando con il Dipartimento».
Il problema della gestione
Dal Dipartimento per la trasformazione digitale precisano che «sotto la voce siti internet sono incluse attività che vanno oltre l'attivazione o il semplice rifacimento delle pagine. C'è la riprogettazione delle architetture e delle interfacce necessarie all'implementazione dei servizi al cittadino nonché per la gestione dei flussi dei processi. Componenti fondamentali di un portale web, su cui lo stesso Digitale Decade (il programma strategico della Commissione Ue per il “decennio digitale”, nda) pone molta attenzione e non è un caso se l'Italia abbia migliorato di 15 punti la performance sui servizi digitali superando Francia e Germania. La spesa può essere molto alta soprattutto nel caso di grandi comuni e in ogni caso nessuno ha ricevuto più del massimo previsto. I comuni più virtuosi hanno risparmiato nella negoziazione con i fornitori e da qui la nostra direttiva per dare loro la possibilità di usare fondi residui in ambito di digitalizzazione».
Il problema però è che i comuni potranno anche essere virtuosi e rispettare i listini, ma come fanno a stabilire se la scelta sia stata la migliore? Se si poteva spendere molto meno e risparmiare denaro da destinare ad altre attività? E, inoltre, c’è anche un tema di gestione: «Come pagare i costi dei servizi che sono aumentati, insieme ai canoni degli applicativi in cloud, oltre che delle connessioni alla banda ultralarga? Ogni anno piccoli e grandi comuni si ritroveranno con costi maggiori rispetto al passato», segnala Bussone.
E quando finiranno i fondi del Pnrr saranno dolori considerato che siti e servizi vanno manutenuti e aggiornati, tenendo conto anche del crescente rischio cyber e delle nuove funzionalità rese possibili dall’intelligenza artificiale. «Serviranno risorse aggiuntive, ci lavoreremo già in legge di bilancio – dice ancora Bussone –. E occorre passare a una formula manageriale pubblica che superi la logica del singolo campanile. La frammentazione fa bene a chi ci guadagna, mentre gli enti locali ci perdono. Ma se i comuni si uniscono, possono strappare contratti migliori».
Oltre ai fondi serviranno competenze, altra nota dolente: «Stiamo costruendo grandi infrastrutture per la digitalizzazione della pubblica amministrazione, ma non abbiamo gli “autisti” in grado di guidarle», ha detto l’assessore regionale ai servizi informativi del Friuli Venezia Giulia, Sebastiano Callari – che ha il ruolo di coordinatore vicario della commissione per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione della Conferenza delle Regioni – nel suo intervento in occasione della presentazione del rapporto.
«Una volta spento il Pnrr rischiamo una dispersione dei progetti avviati che devono invece essere messi a disposizione anche negli anni futuri. Per questo è necessario personale qualificato nei comuni e una più ampia alfabetizzazione dei cittadini». Peraltro nello stesso rapporto si evidenzia che a prescindere dalla dimensione demografica dei comuni, la carenza di risorse economiche e risorse umane competenti rappresentano le principali barriere al processo di trasformazione digitale. E addirittura sono le città più grandi a segnalare che la mancanza di competenze e la difficoltà a trattenerle sono i maggiori ostacoli sul cammino.
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