Lo spread, il differenziale di rendimento tra titoli di stato decennali italiani ed equivalenti tedeschi, è tornato a crescere. Oggi ha superato i 150 punti base, un livello che non veniva toccato dall’agosto del 2021. 

Non si tratta, come accaduto altre volte in passato, di una reazione degli investitori a qualche avvenimento nel nostro paese. Il rialzo è generale, di tutta l’Europa, dovuto in buona parte alla comunicazione della Banca centrale europea, piuttosto confusionaria a proposito della sua intenzione di alzare i tassi e ridurre il volume dei suoi interventi straordinari nel prossimo futuro.

L’arrivo dello spread

A lungo un indicatore conosciuto soltanto dagli specialisti nel trading di titoli di stato, lo spread è entrato nelle nostre vite con lo scoppio della crisi dell’euro. Il record assoluto di quello italiano, circa 550 punti base, è stato toccato nel dicembre 2011, durante i difficili giorni che hanno preceduto la caduta dell’ultimo governo Berlusconi.

Con l’arrivo del governo Monti, lo spread è sceso rapidamente, ma nel marzo 2012, i timori per l’evoluzione della crisi in Spagna, riportarono lo spread quasi ai livelli del governo Berlusconi. Poi, l’ormai famosissimo «whataver it takes» di Mario Draghi, all’epoca presidente della Bce, riportò di nuovo la situazione sotto controllo.

Il governo gialloverde

Durante i successivi governi Letta, Renzi e Gentiloni, lo spread è sostanzialmente sparito dalla cronaca quotidiana rimanendo sempre tra i 100 e i 200 punti base, i suoi movimenti influenzati più dalle azioni della Bce e dal contesto economico generale che da quello che accadeva in Italia.

Le cose sono iniziate a cambiare con le elezioni del 2018. L’incertezza per l’esito non conclusivo del voto e poi i timori degli investitori per l’arrivo del governo Lega-Movimento 5 stelle, hanno riportato lo spread oltre i 300 punti.

Dopo i primi timori, però, il governo “gialloverde” ha iniziato a essere percepito come non poi così diverso dai precedenti e lo spread è tornato a scendere, attestandosi a un livello tra i 250 e i 200 punti. Dopo un singhiozzo di paura per la caduta del primo governo Conte, la discesa è proseguita fino ad attestarsi tra i 150 e i 200 punti base.

La pandemia

Arriviamo così al marzo del 2020, con l’arrivo della pandemia e la prima, caotica reazione della Bce. Salgono tutti gli spread, compreso quello italiano, che in alcuni momenti arriva a toccare quota 260. Ma il consiglio direttivo della Bce raggiunge presto un accordo. Viene varato un piano straordinario di acquisto titoli e poco dopo anche i governi dell’Unione raggiungono un accordo su un intervento complessivo, quello che diventerà il Next genaration EU. Lo spread a quel punto inizia una discesa che durerà fino all’arrivo del governo Draghi.

Tra Conte e Draghi

Possiamo dire che il primo vero ritorno all’utilizzo “politico” dello spread avviene proprio nella fase di passaggio tra il governo Conte e quello Draghi, quando alcune forze politiche sono tornate a usare questo indicatore per attaccare i propri avversari (un po’ come era avvenuto nel 2011 con Berlusconi).

Rivediamo quei giorni. Il governo Conte entra in crisi alla fine del 2020 e trascorre le prime settimane di gennaio in un disperato tentativo di trovare numeri sufficienti in Parlamento nonostante la defezione di Italia Viva.

Lo spread, intanto, sta calando da aprile, come abbiamo visto prima. Il 4 gennaio, ad esempio, è a 114 punti base. La crisi di governo causa soltanto un piccolo sussulto: al picco della crisi lo spread sale fino a 123 punti base.

Poi, con l’arrivo del governo Draghi, guidato dall’uomo del “whatever it takes”, il tonfo. Lo spread scende precipitosamente e il 17 febbraio tocca il record più basso in oltre dieci anni: 87,9. Ma non resterà così basso a lungo. A maggio è già tornato al picco toccato con la crisi del governo Conte II, 123 punti base. 

Nei giorni successivi torna di nuovo intorno ai cento punti, un livello che manterrà fino a ottobre. A quel punto, altre dinamiche tornano in gioco. La crisi della logistica mondiale, le preoccupazioni per la fine degli stimoli dell’americana Fed e poi dell’europea Bce e poi quelle per l’arrivo della variante Omicron, riportano lo spread a crescere fino a livello raggiunto oggi: oltre i 150 punti, il più alto da un anno e mezzo.

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