Si gioca sul filo dei decimali, delle sfumature verbali e delle promesse il negoziato che quest’oggi potrebbe dare all’Europa un nuovo Patto di stabilità. Il condizionale è più che mai d’obbligo perché anche al termine del negoziato notturno seguito alla cena dei ministri, l’accordo non sembra ancora a portata di mano. «Abbiamo fatto passi avanti sostanziali - ha sintetizzato Paolo Gentiloni – ma la missione non è compiuta». La previsione è «che un accordo possa essere raggiunto nei prossimi giorni», ha concluso il commissario Ue all’Economia. Sul tavolo, secondo quanto riporta l’Ansa, c’è un documento comune sottoscritto da Francia, Germania Italia e dalla Spagna, a cui tocca la presidenza di turno della Ue. Servirà ancora tempo, però, perché si arrivi a un testo definitivo.

Nelle ultime settimane le trattative tra le cancellerie si sono complicate sempre di più, soprattutto per le pressioni del cosiddetto fronte dei frugali, guidato dalla Germania, che ha chiesto cambiamenti sostanziali alla proposta elaborata dal governo spagnolo, a cui tocca la presidenza di turno del Consiglio della Ue.

Dopo settimane di aggiustamenti e correzioni di rotta, l’ultima versione della posizione italiana è quella espressa tre giorni fa dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nella sua audizione in parlamento. «L’Italia intende ridurre il debito in maniera realistica, graduale e sostenibile nel tempo», ha scandito Giorgetti, evocando anche la possibilità che da Roma arrivi il veto all’approvazione del Patto in caso venga considerato troppo punitivo per il nostro paese.

In altre parole, meglio rovesciare il tavolo e tornare alle vecchie regole piuttosto che sottoscrivere un’intesa che affosserebbe le residue possibilità di crescita dell’economia nostrana. Questa dichiarazione di principio viene però accolta come tale dalle altri capitali, nella certezza che non convenga a nessuno, tantomeno all’Italia, andare allo scontro. Come pure sembra un’arma spuntata il tentativo di Roma di barattare la ratifica del Mes (l’Italia è l’unico Stato Ue a non averlo ancora fatto) con concessioni sul fronte del Patto di stabilità.

Quest’oggi è previsto il vertice Ecofin, che potrebbe rinviare tutto alla prossima settimana, quando è in programma il Consiglio europeo tra i capi di governo, o magari anche in più in là. I principali punti di attrito su cui ormai da settimane si esercitano le diplomazie dei vari Stati riguardano in primo luogo la velocità della riduzione del deficit e del debito richiesta ai paesi che sforano il tetto massimo previsto dalle regole di bilancio, ovvero il 60 e il 3 per cento del Pil, rispettivamente per debito e deficit.

Il ritorno entro il tetto fissato dalle regole comuni, cioè la durata della fase di aggiustamento, dovrebbe essere di quattro anni prolungabili fino a sette, se il governo interessato si impegna ad attuare particolari riforme o alcune categorie di investimenti.

La Germania, con al seguito l’Olanda e i nordici, pretende però che il ritmo del percorso di rientro sia lineare e proporzionale all’entità dell’aggiustamento che viene richiesto ad ogni singolo paese. Per esempio, se il debito è superiore al 90 per cento del Pil (Berlino è al 66 per cento), la correzione non dovrebbe essere inferiore all’1 per cento annuo. Una proposta simile è a dir poco difficile da digerire per l’Italia, che viaggia intorno al 140 per cento nel rapporto debito/Pil, al pari di altri Stati, come Francia e Spagna, che sono poco sotto il 110 per cento.

Berlino chiede anche una riduzione annua dello 0,5 del deficit eccedente il 3 per cento in rapporto al Pil. Anche qui per l’Italia c’è molta strada da fare, visto che quest’anno il disavanzo dei conti pubblici sarà di sicuro superiore al 5 per cento, e per il 2024 il governo prevede di non scendere sotto il 4,3 per cento. Non solo.

La Germania insiste anche perché al termine del percorso di aggiustamento il deficit arrivi a quota 1,5 per cento, in modo da creare una sorta di cuscinetto da spendere in caso di gravi crisi. Anche questa proposta ha incontrato la netta opposizione dell’Italia, affiancata dalla Francia che ha un bilancio in deficit del 4,8 per cento e nel 2024 difficilmente riuscirà a restare sotto il 4,4 per cento.

Proprio ieri però il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire ha lasciato intendere che il negoziato ha fatto passi avanti. «Siamo al 90 per cento dell’accordo», ha detto Le Maire. In particolare, l’intesa punterebbe su una revisione dallo 0,5 allo 0,3 per cento della riduzione annua del deficit da parte dei paesi non in regola, in modo da liberare risorse per investimenti e riforme. Su questi aspetti Roma marcia affiancata a Parigi.

Da tempo infatti Giorgetti insiste perché dal calcolo del deficit vengano escluse le spese destinate a transizione verde e digitale, richieste che però sono state finora respinte dal muro tedesco. Discorso diverso, invece, per gli investimenti per la difesa, di cui si dovrebbe tener conto in qualche modo per valutare il rispetto della disciplina di bilancio.

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