Il ventennale dalla scomparsa dell’avvocato Gianni Agnelli è stato ricordato dal nipote John Elkann con una intervista stereo ai giornali di famiglia, La Repubblica e La Stampa; la minuziosa rievocazione parla del passato soprattutto per spiegare (e giustificare) il presente e per togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Con una memoria piuttosto corta e selettiva, come dimostra almeno un paio di esempi.

Alla domanda se la famiglia Agnelli abbia abbandonato Torino, Elkann risponde che «il piano [Stellantis] di investimenti di cinque miliardi per l’Italia è il più grande di tutta la nostra storia ed ha permesso a Mirafiori di essere uno stabilimento all’avanguardia nel mondo».

Le promesse di investimenti

Il piano di investimenti da cinque miliardi di euro (per ora sulla carta) non è il più grande della storia Fiat: nel 2010 Sergio Marchionne annunciò «20 miliardi di euro di investimenti in cinque anni» nel piano Fabbrica Italia, poi smontato in pochi anni tra crisi di mercato e dispute sindacali. Nuovo piano nel 2018: cinque miliardi per l’Italia «entro il 2022».

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I dividendi grazie alla cessione della Marelli

I cinque miliardi di euro di cui parla Elkann stavolta sono meno dei 6,4 miliardi di dividendi incassati tra il 2019 e il 2021 dai soci FCA, di cui circa due sono andati alla Exor degli Agnelli (metà della somma è stata erogata ai soci FCA da Stellantis nel 2021).

Le cedole venivano in gran parte da due operazioni: la cessione della Magneti Marelli – maggior produttore italiano di componenti per auto – a un fondo d’investimenti americano; e la rinuncia al controllo su FCA nella fusione con Stellantis (gli azionisti ex-Peugeot hanno la maggioranza in consiglio d’amministrazione); due mosse che non sembrano segnali di un impegno incrollabile verso il business storico e la città dove è nato il gruppo Fiat.

Cassa integrazione

I cinque miliardi di investimenti citati da Elkann si possono anche confrontare con i parecchi miliardi che Fiat ha risparmiato sul costo del lavoro grazie ai contributi statali erogati nell’arco di vent’anni sotto forma di cassa integrazione. Un calcolo pubblicato sul Sole 24 Ore stimava quasi due miliardi di euro 10 anni fa, ben prima del Covid; senza di essi, più di una fabbrica italiana di Fiat avrebbe già chiuso.

Cassa integrazione e riduzione d’organico continuano con la gestione Stellantis: oltre 4mila tagli solo nel 2021 e altri nel 2022, sia pure concordati coi sindacati. Fra gli stabilimenti colpiti c’è proprio quello storico di Mirafiori, che solo con occhiali rosa può essere definito «all’avanguardia nel mondo». Le decine di migliaia di dipendenti si sono ridotti a poche migliaia; si può dire che di tutte le aziende familiari dell’auto – da Ford a BMW, da Volkswagen a Toyota, nessuna ha lasciato deperire così tanto la fabbrica che più si identifica con la storia dell’azienda. Il baricentro di FCA si era spostato oltre Atlantico con l’operazione Chrysler, mentre la fusione con Peugeot in Stellantis ha ridato più peso all’Europa; peccato che la testa pensante del gruppo e il grosso della ricerca sui prodotti del futuro per l’Europa siano ormai a Parigi.

La «violenza» delle banche

Il sasso più grosso che Elkann si toglie nell’intervista risale a vent’anni fa: secondo il presidente di Stellantis le banche non avrebbero sostenuto la famiglia ai tempi della grande crisi. «Il sistema bancario e finanziario italiano, che da sempre aveva beneficiato della Fiat, in quel momento non ci ha sostenuto. Una vera e propria violenza, aumentata con la scomparsa di mio zio Umberto nel 2004». A parte la curiosità che desta l’impiego del termine «violenza», la memoria di Elkann è sicuramente selettiva.

A beneficio dei lettori più giovani ricordiamo che nel 2002, con la Fiat in grave crisi e un governo Berlusconi indifferente se non ostile, le banche (italiane e straniere) intervennero con un prestito convertibile da tre miliardi di euro. Le condizioni del prestito avrebbero permesso alle banche stesse di prendere alla scadenza il controllo della Fiat, se questa non fosse stata in grado di restituire i fondi.

Manovre spericolate

Prima e dopo la morte dell’avvocato nel gennaio 2003, voci di cessione del gruppo e di spezzatini vari si susseguirono per mesi; dopo la scomparsa del fratello Umberto nel maggio 2004 e l’arrivo di Sergio Marchionne al Lingotto, la famiglia – guidata da un John Elkann allora 29enne – riuscì a conservare il controllo di Fiat nel 2005 con una manovra finanziaria spericolata (e che adesso sarebbe vietata): stipulò in segreto un equity swap con la banca americana Merrill Lynch che permise alla finanziaria Ifil degli Agnelli di acquistare titoli Fiat a prezzi convenienti e al tempo stesso di aggirare l’obbligo di Opa. Per la mancata comunicazione al mercato due dirigenti del gruppo – Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens – furono sanzionati dalla Consob.

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