Tre giorni per decidere il futuro di Torino. Un futuro che appare fosco come mai prima. L’industria in crisi non riesce a sciogliere il nodo Mirafiori, che perde produzione e occupati. E la politica non aiuta, con le indagini giudiziarie sul voto di scambio e sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta che nei giorni scorsi hanno colpito il Pd in città.

Più di tutto, però, preoccupano i numeri di quella che un tempo era la Fiat. In vista dello sciopero indetto per venerdì 12 aprile, i vertici di Stellantis cercano di reagire, almeno sul fronte della propaganda.

Si comincia mercoledì 10 aprile, quando verrà presentata la nuova Alfa “Milano” nell’omonima città, alla presenza del capo di Stellantis, Carlos Tavares: è previsto un grande show.

Ad appena un’ora di auto dal capoluogo lombardo si trova lo stabilimento di Mirafiori, dove Tavares potrebbe invece giungere mercoledì mattina per presenziare all’inaugurazione di una nuova produzione di componenti legate alla trasmissione delle auto elettriche. La passerella torinese potrebbe tornare utile per disinnescare con un qualche annuncio rassicurante lo sciopero unitario di venerdì prossimo, al quale è associata una manifestazione dei metalmeccanici in centro città.

La marcia che verrà

La parola della vertigine, “marcia”, non compare mai, nessuno la pronuncia ed è sostituita da sinonimi per ogni gusto, ma aleggia come uno spettro. Nulla di paragonabile con quella per eccellenza, i Quarantamila del 1980, per ovvie ragioni: qualcosa di vagamente riconducibile alle manifestazioni Sì Tav della fine del 2018 a cui parteciparono decine di migliaia di torinesi per ben due volte. Nessuno al tempo si aspettava piazza Castello stracolma di persone.

Il menù preparato dai sindacati uniti per il 12 aprile prossimo – la triplice più Fismic, Ugl e Aqcf-r – mancava da tempo e prevede lo sciopero di otto ore a Mirafiori perché Torino inanella dati inquietanti: nel primo trimestre del 2024 sono state prodotte 12.680 unità rispetto alle 25.900 rilevate nel 2023, il calo è pari al 51 per cento.

La produzione in Italia di Stellantis, nei primi tre mesi del 2024, scende del 9,8 per cento rispetto all’anno precedente. Sono i dati presentati venerdì scorso da Fim Cisl. «Se i numeri saranno confermati, la produzione del 2024 si attesterà poco sopra le 630mila unità, al di sotto delle 751mila del 2023. Si allontana l’obiettivo di 1 milione di veicoli», commenta il segretario generale Ferdinando Uliano. Da qui la scelta di mobilitare lavoratori e sindacato, consci che si è raggiunto il punto di non ritorno.

Chi protesta e chi no

La partecipazione allo sciopero-manifestazione di sigle notoriamente moderate – Fismic e perfino i quadri e capi Fiat (Aqcf-r) – dà l’idea della gravità senza precedenti della situazione, per altro visibile a occhio nudo a chiunque faccia un giro su corso Agnelli a Torino e guardi la facciata del Campidoglio Fiat: aiuole poco curate, semi deserto all’entrata delle varie porte, silenzio. Il lato sud che affaccia su corso Settembrini si presenta come un territorio dove il verde naturale sta riconquistando spazio.
Il concentramento si terrà in piazza Statuto al mattino, dopodiché partirà un corteo che ufficialmente dovrebbe terminare in piazza Palazzo di Città, davanti al comune, luogo dedicato solitamente alle proteste dei comitati cittadini. In base al numero dei partecipanti si deciderà se variare il percorso, magari per farlo terminare come da consuetudine in piazza Castello, che necessita di almeno 40.000 presenze per essere riempita.

In questi giorni è in corso un dialogo sotterraneo sull’allargamento del perimetro dei partecipanti alle organizzazioni datoriali, nonché alla potente componente dei commercianti: è atteso un comunicato in merito a questa possibilità. Nelle settimane passate l’industriale torinese Pier Mario Cornaglia, azienda storica che produce componenti dello scarico delle auto, 300 dipendenti, si è detto pronto a marciare al fianco della Fiom.

Nei vari volantini e appelli che girano sulle chat si fa espressamente appello a «cittadine e cittadini, sindaci dei comuni della provincia, associazioni del territorio, studenti e studentesse di ogni ordine e grado».

Non ci sarà il vescovo di Torino, Roberto Repole, ma potrebbe essere presente un rappresentante dell’Ufficio pastorale sociale di Torino, una componente della diocesi quindi.

In piazza e bene in vista non mancherà la politica torinese, il sindaco Stefano Lo Russo e il presidente della regione Alberto Cirio, l’ex sindaca Chiara Appendino, nonché tutti i candidati di ogni schieramento alle elezioni regionali.

E la città sta a guardare

Oggi a Mirafiori lavorano 11.000 persone, mentre nell’indotto, nel Torinese, sono presenti circa 50.000 lavoratori: quest’ultimo numero ha subito una violentissima contrazione, meno 37.000 unità rispetto al 2014, secondo uno studio Fiom condotto nel 2022.

Il corpo di Torino, la percezione della cittadinanza comune sul tema Mirafiori, rimane un enigma avvolto da un mistero: decenni di retorica su quanto Torino potesse e dovesse buttare a mare il passato operaio hanno scavato a fondo, e la città forse ha ceduto alla tentazione secondo cui servizi, turismo e studenti possono sostituire il settore manifatturiero, la Fiat e l’ingombrante passato.

Sullo sfondo rimane la politica romana, un po’ desiderata ma anche temuta: potrebbe accendere i riflettori sulla vicenda, ma gli scontri tra Tavares e Giorgia Meloni in campagna elettorale potrebbero essere golosi spot elettorali.

Appello al governo

La destra al governo nella sua retorica populista potrebbe prendersi la scena con qualche sparata contro gli Agnelli, che tanto non costa nulla dato che ormai sono un’entità lontana dalla città e dall’Italia, un azionista di una multinazionale globale. Oppure la presidente del Consiglio potrebbe raccogliere l’invito che arriva da Torino e convocare ex abrupto Tavares.

Il governo, nella persona del ministro Adolfo Urso, l’11 aprile, a metà strada tra la possibile visita dell’ad di Stellantis in azienda e lo sciopero unitario dei lavoratori e delle lavoratrici di Mirafiori, verrà a Torino.

Non è escluso che anche Urso faccia un appello – gli appelli in questa storia si sprecano – ma si tratta sempre dello stesso copione che da tempo recitano governo e azienda. La quale, per altro, sempre più manifestamente avanza dubbi sulla elettrificazione di massa del settore automobilistico e, al massimo, potrebbe portare a Torino in tempi non chiari la produzione della 500 a motore termico, da montare sul telaio della versione elettrica. Soluzione che permetterebbe altri anni di cassa integrazione, almeno un paio, a fronte di una produzione incerta.

«Si tratta di uno sciopero dei lavoratori del gruppo, uno dei tanti fatti in questi anni», commenta Giorgio Airaudo, segretario generale della Cgil Piemonte. Smonta la tesi che quella del 12 possa essere una “giornata particolare” per la storia di Torino, ma apre a scenari che vanno in quella direzione in futuro.

«Non sono in programma assemblee preparatorie cittadine», dice Airaudo, «quindi è sbagliato pensare che lavoratori e sindacati si giochino tutto. Potrebbe essere però il primo passo che potrebbe portarci a una contrapposizione più dura da tenersi non a Torino, ma a Parigi».

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