I grandi produttori di automobili fanno utili a palate. E Stellantis ne fa più di tutti. Con 24 miliardi di euro di utile operativo e oltre 18 miliardi di euro di utile netto, il gruppo guidato da Carlos Tavares batte i concorrenti europei, americani e coreani. Mancano i giapponesi, che pubblicheranno i conti solo a maggio.

Sono numeri da record per l'azienda nata nel 2021 dalla fusione di Fiat Chrysler Automobiles con la francese Peugeot e i soci, a cominciare dalla Exor di John Elkann, incassano lauti dividendi. Considerando anche il riacquisto di azioni proprie, si arriva a oltre 14 miliardi di euro, una somma che considera quanto distribuito nel 2023 (6,6 miliardi) e quanto promesso per quest’anno (7,7 miliardi).

L’altra faccia della medaglia, ben più preoccupante, riguarda l’Italia, dove il gruppo riduce la produzione, taglia migliaia di posti di lavoro e chiede nuovi aiuti al governo. Secondo i dati resi noti dal sindacato Fim Cisl, nel nostro paese la produzione delle fabbriche è diminuita di quasi il 10 per cento nel primo trimestre 2024, con cali del 50 per cento a Mirafiori e Melfi, del 40 per cento a Cassino. Com’è possibile?

 

Meno vendite più ricavi

Partiamo dalla classifica dei profitti. Quella che abbiamo stilato partendo dai bilanci aziendali comprende le principali case automobilistiche europee (Bmw, Ferrari, Mercedes, Renault, Stellantis, Volkswagen), le tre maggiori americane (Ford, Gm e Tesla) e le coreane Hyundai e Kia. Con i suoi 18,6 miliardi Stellantis ha battuto Volkswagen (17,9 miliardi), Mercedes (14,5 miliardi) e Tesla (13,8 miliardi).Nel 2022 Bmw aveva superato Stelllantis per utile netto, mentre all’interno di questo campione quella guidata da Tavares era già la casa automobilistica più redditizia a livello di profitti operativi.

Le case automobilistiche europee hanno ottenuto un utile netto totale record di 66,7 miliardi di euro nel 2023 (erano 66,2 nel 2022). La tendenza è di lungo periodo: negli ultimi 10 anni i loro profitti netti cumulati hanno raggiunto la cifra record di 428 miliardi, nonostante le ingenti somme investite nella transizione verso la mobilità elettrica e l’impatto su Volkswagen dello scandalo Dieselgate (oltre 30 miliardi di euro).

L’era post-Covid, dal 2021 al 2023, si è rivelata una vera miniera d’oro con un totale di 187 miliardi di profitti netti nonostante le difficoltà di reperire componenti chiave come i semiconduttori, che ha costretto a ridurre la produzione in più occasioni, e l’aumento dei prezzi delle materie prime.

Come si spiegano questi profitti colossali, che sembrano contraddire – sia per Stellantis che per le rivali – le quotidiane lamentazioni sull’impatto della transizione ecologica e della concorrenza cinese? Uno dei fattori principali, paradossalmente, sono state proprio le difficoltà di produzione: la maggior parte delle case automobilistiche è riuscita a sfruttarle vendendo meno auto ma con profitti molto più elevati.

Stellantis, in particolare, ha accettato una forte riduzione delle quote di mercato, sia in Europa che in Nordamerica, con l’obiettivo di gonfiare i profitti. Nel 2023, per esempio, la sua quota in Europa è scesa al 16,9 per cento dal 18,3 per cento di un anno prima (le vendite sono cresciute l’anno scorso, ma meno di quelle della concorrenza).

I componenti preziosi come i chip sono stati concentrati sulle vetture più costose, tagliando la produzione di quelle più economiche, con il risultato di spingere al rialzo i ricavi e anche i profitti medi per ogni auto venduta.

Poiché la produzione della fascia bassa è stata limitata, le poche vetture economiche disponibili hanno potuto essere vendute anch’esse a prezzi più alti. La scarsità di vetture nuove disponibili ha infine fatto salire anche i prezzi di quelle usate, il che ha penalizzato gli acquirenti più poveri ma ha favorito ancora una volta le case automobilistiche.

Fornitori spremuti

A dispetto delle lacrime versate da Tavares sulla «classe media» che non può più permettersi di acquistare un’auto nuova, insomma, quello che hanno fatto il manager portoghese e i suoi colleghi è proprio spremere gli acquirenti fino all’ultimo euro (o dollaro).

I profitti di Stellantis e delle rivali non arrivano infatti solo dall’Europa. La regione nordamericana di Stellantis ha rappresentato l’anno scorso più della metà dei 24,3 miliardi di profitti operativi, mentre poco più di un quarto è arrivato dall’Europa allargata. Anche negli Usa la strategia è stata la stessa: meno vendite ma a prezzi in forte rialzo. Un contributo significativo è arrivato infine l’anno scorso anche dalla crescita del business in Sudamerica, dove Stellantis è leader fin dai tempi di Fiat.

Alla crescita dei ricavi, pur con volumi di vendita in calo, si è accompagnata una costante ricerca di taglio dei costi. I fornitori sono stati messi sotto pressione con richieste di sconti e condizioni più favorevoli. I costi del lavoro sono stati ridotti, in caso di fermate produttive, mettendo in cassa integrazione (non solo in Italia) i dipendenti.

Nel 2013 avevo stimato per il Sole 24 Ore in quasi 2 miliardi di euro in dieci anni i risparmi per l’allora Fiat dall’utilizzo sistematico della cassa integrazione, metà a carico dei dipendenti con i salari tagliati, metà a carico dello stato. La situazione è rimasta la stessa per tutto il decennio successivo. Dalla nascita di Stellantis, inoltre, l’organico è stato ridotto di quasi 50mila unità a livello mondiale rispetto a quelli di Fca e Peugeot prima della fusione.

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