L’annuncio del presidente degli Stati Uniti arriva come un temporale di fine estate: ma per ora le Borse europee reagiscono bene. Alla fine forse non aveva tutti i torti Joseph Stiglitz quando l’8 settembre aveva detto a Milano: «Non credo che qualsiasi accordo con Trump valga la carta su cui è scritto»
Come un temporale di fine estate è arrivato il lampo seguito dal tuono di Donald Trump sui dazi sebbene per ora le Borse europee sembrano credere più allo scampato pericolo come assicurato dalla Ue. Ma andiamo con ordine.
A partire dal primo ottobre «imporremo dazi al 100 per cento su qualsiasi prodotto farmaceutico di marca o brevettato, a meno che un’azienda non stia costruendo il proprio stabilimento di produzione farmaceutica in America».
Lo ha annunciato Trump sul suo social Truth, precisando che «la costruzione sarà definita come un cantiere in fase di avvio e/o di costruzione. Pertanto, non ci saranno dazi su questi prodotti farmaceutici se la costruzione è iniziata». Ma non basta.
Dal primo ottobre scatteranno dazi al 50 per cento per i mobili da cucina, da bagno e prodotti correlati. La decisione - ha sottolineato Trump – è stata presa perché gli Stati Uniti sono «inondati da questi prodotti che arrivano da altri paesi. È ingiusto e dobbiamo proteggere, per motivi di sicurezza nazionale, il processo manifatturiero». Infine gli Usa imporranno dazi al 25 per cento sulle importazioni di camion pesanti negli Stati Uniti a partire dal primo ottobre: la decisione è dettata dalla necessità di proteggere i «nostri produttori», ha scritto sempre lo scatenato tycoon su Truth.
La dura reazione Ue
Pronta per una volta la reazione di Bruxelles. «Il limite tariffario globale del 15 per cento per le esportazioni dell’Ue» inserito nell’accordo quadro su prodotti farmaceutici, legname e semiconduttori «rappresenta una polizza assicurativa che garantisce agli operatori economici Ue che non saranno applicate tariffe più elevate. L’Ue e gli Stati Uniti continuano a impegnarsi per attuare gli impegni assunti nella dichiarazione congiunta, esplorando al contempo ulteriori settori per le esenzioni e una più ampia cooperazione».
Lo ha sottolineato il portavoce della Commissione Ue Olof Gill commentando l’annuncio di Trump sui nuovi farmaci nel caso in cui la produzione non avvenga in Usa. Insomma c’è un limite massimo che fa da scudo ai ripensamenti di Washington. Le borse europee, tutte moderatamente positive, sembrano per ora aver creduto alle rassicurazioni della Commissione europea e non hanno ritenuto credibile l’ulteriore balzello.
Aveva ragione Stiglitz
Alla fine però non aveva tutti i torti Joseph Stiglitz quando l’8 settembre aveva detto al Forum Assolombarda a Milano: «Non credo che qualsiasi accordo con Trump valga la carta su cui è scritto».
«Ha stipulato un accordo con Canada e Messico durante il suo primo mandato e il primo giorno del secondo mandato lo ha strappato. Avevano raggiunto un accordo, ma era solo momentaneo», ha aggiunto. «Quindi penso che un accordo con Trump debba essere considerato come una tregua temporanea, che verrà infranta quando gli farà comodo farlo», aveva spiegato Stiglitz.
Secondo il premio Nobel, il presidente degli Stati Uniti «non crede nello Stato di diritto, crede nella legge della giungla e nella legge della giungla vince il più potente. E lui crede che gli Stati Uniti siano i più potenti».
Ma «se si guardano i dati, si riconosce che gli Stati Uniti rappresentano meno del 20 per cento del Pil, molto meno del Pil globale, molto meno del 20 per cento del commercio globale» e anche se è vero che «gli Stati Uniti hanno una spesa enorme per la difesa, pari a quella di tutto il resto del mondo messo insieme e la difesa è fondamentale, se fossi un economista, guarderei a un negoziato commerciale puro tra gli Stati Uniti e l’Ue».
Per Stiglitz «la risposta a chi ne uscirebbe vincitore sarebbe l’Ue», che ha «più persone, un mercato più ampio, più scambi commerciali. Penso che l’Ue vincerebbe, ma non è questo l’accordo che è stato raggiunto. Era svantaggioso per l’Europa: si potrebbe dire che è stata una capitolazione davanti a un bullo da cortile. Non aveva alcun senso dal punto di vista economico», ha continuato riferendosi all’intesa tra Europa e Stati Uniti, che secondo l’economista deve valutarsi guardando al conflitto tra Russia e Ucraina.
«Parte di quell’accordo prevedeva che l’Europa pagasse per acquistare armi americane da spedire in Ucraina. E date le debolezze dell’industria europea della difesa, penso che non ci fossero molte alternative», ha concluso il premio Nobel.
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