Nessun coinvolgimento delle assemblee degli azionisti, difesa del valore delle azioni, ma non delle obbligazioni subordinate convertibili, creazione di un colosso finanziario in barba alle regole Antitrust. 

Il salvataggio di Credit Suisse, gigante del credito affossato da una crisi di liquidità e di reputazione, sta già sollevando una lunga serie di controversie per aver fatto saltare regole che dovrebbero essere l’architrave di un mercato aperto e altamente regolato come quello bancario.

Per salvare una delle banche di rilevanza sistemica globale, le autorità svizzere hanno autorizzato una garanzia di liquidità da 100 miliardi e hanno oliato l’accordo con Ubs, l’altro grande gruppo bancario svizzero che si è comprato il suo rivale storico a prezzi di saldo, garantendo il portafoglio di asset più rischiosi dell’istituto con 9 miliardi. 

Il risultato è che Ubs ha sborsato appena 3 miliardi, meno della metà della capitalizzazione di Credit Suisse di venerdi, e dopo aver tentato addirittura di portarla a casa per il prezzo di un miliardo. Per chiudere l’accordo in tempi stretti, cioè quelli dell’apertura dei mercati del lunedi mattina, si è semplicemente deciso di saltare ogni consultazione con gli azionisti di entrambe le banche, quindi il principio cardine su cui si basa la corporate governance nel mercato capitalistico moderno.

Azionisti come la fondazione Ethos che ha in portafoglio oltre il tre per cento delle azioni di Crediti Suisse e si era già opposta pubblicamente a ogni ipotesi di fusione con Ubs, sottolineandone sia i rischi sistemici elevati che ne sarebbero derivati, sia i problemi sotto il profilo antitrust. Ad accordo fatto, la fondazione ha diffuso una nota a nome anche di altri soci, azionisti istituzionali e fondi pensione che pesano per il 5 per cento dell’azionariato di entrambe le banche, in cui si spiega che i soci «valuteranno ogni opzione nei prossimi giorni, compresa quella di intraprendere le vie legali, per determinare le responsabilità di questo fallimento».

La gerarchia degli investitori

Gli azionisti non sono stati consultati, grazie alla sospensione per legge delle normali procedure, ma almeno non hanno perso i loro investimenti, come invece è successo ai detentori di obbligazioni subordinate convertibili AT 1, quelle che sono convertibili per rafforzare il parametro del Core Tier1 di una banca, cioè la sua capacità patrimoniale. 

La conversione delle obbligazioni subordinate ha portato nuovo patrimonio alla banca per ben 16 miliardi - per dare una idea del peso dell’operazione si tratta del doppio della capitalizzazione di Credit Suisse all’ultimo giorno di contrattazioni della scorsa settimana. Le obbligazioni subordinate sono considerate investimento ad alto rischio, perché appunto convertibili, ma secondo le regole bancarie europee i primi a pagare nel caso di esigenze di liquidità emergenziali dovrebbero essere gli azionisti che, per definizione sono gli investitori che hanno deciso di compartecipare al capitale della società e quindi al rischio dell’investimento. Il fatto che nel caso di Credit Suisse non si sia rispettata questa gerarchia ha portato, questa mattina, a una diffusa svalutazione dei bond sui mercati finanziari: la rotta si è invertita solo grazie a una presa di posizione esplicita delle autorità di regolamentazione europee.

La Banca centrale europea, il Single resolution board, cioè l’organismo che regola le risoluzioni bancarie nell’Eurozona, e l’Eba, l’Autorità bancaria europea, hanno firmato una comunicazione congiunta per rassicurare gli obbligazionisti che in Europa valgono le regole europee, una conferma teoricamente non necessaria, ma che dà l’idea del panico scatenato dal salvataggio sui generis di Credit Suisse, le cui procedure, hanno sottolineato le tre istituzioni dell’area euro, non sono condivise. 

La cancellazione permanente del valore delle obbligazioni subordinate realizzata in questo caso era chiaramente esplicitata dai prospetti, fanno notare gli analisti di Bainor Capital, mentre la diversa gerarchia di risoluzione è stata  autorizzata dalla Finma, l’autorità finanziaria di vigilanza del mercato svizzero. Secondo Algebris questo «capovolgimento della seniority della struttura del capitale»  non è «mai successo ed è chiaramente un errore politico molto spiacevole», ma non dovrebbe impattare suli mercati europei e americani.

Resta il problema di come a quindici anni dalla crisi bancaria del 2008 non si sia riusciti a trovare una regolamentazione comune, e come il mercato del credito svizzero, sicuramente rilevante possa giocare con le sue regole.

Questione di concorrenza

Infine, c’è la questione antitrust. Ubs e Credit Suisse sono due tre le trenta più grandi banche al mondo e insieme controllano asset per 1562 miliardi di euro e oltre il 60 per cento del mercato elvetico. Lo stesso ex presidente della autorità di vigilanza elvetica, Eugen Haltiner, nei giorni scorsi aveva dichiarato che il matrimonio avrebbe dovuto essere fermato dai regolatori che si occupano di concorrenza. Così non è stato e di fronte alla questione la Finma ha preso una posizione netta  dichiarando che la stabilità finanziaria vince sulle questioni antitrust. Una posizione assai discutibile considerando ma almeno più onesta di quella del governo svizzero che ancora ieri ripeteva in un afflato surrealista che quello a cui stiamo assistendo non è un salvataggio. 

 

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