Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla ventesima edizione dello European Focus!
Sono Anton Semyzhenko, il caporedattore di questa settimana, e scrivo da Kiev. Questa è una edizione speciale composta integralmente da contributi di giornalisti ucraini: assieme ai colleghi del Focus abbiamo deciso di dar loro voce in occasione dell’anniversario della guerra.

La scorsa primavera è stara decisamente la più dura nella storia dell’Ucraina moderna, e probabilmente la più dolorosa in tutta la vita di milioni di ucraini. Abbiamo provato un nuovo livello di paura, di insicurezza, di disgusto e di rabbia.

Ma, allo stesso tempo, per me e per altri ucraini con cui ho parlato, sono stati anche mesi felici. Ci siamo sentiti uniti come non mai, e abbiamo fatto sinceramente il possibile per il bene comune.

Nella metropolitana di Kiev sembrava che tutti i passeggeri facessero parte della stessa compagnia. A volte tristi, a volte concentrati, ci muovevamo tutti nella stessa direzione, non solo fisicamente.

Questa guerra ci porta via molto: distrugge vite, edifici, speranze, piani. Ma, anche se il prezzo da pagare è terribile, alcune cose stanno cambiando in meglio.

Ad esempio, la presa degli oligarchi sull’Ucraina si è decisamente allentata. Sono anche spariti i nomi delle strade e i monumenti russi, man mano che ci scrolliamo di dosso la nostra eredità coloniale.

In questa edizione i giornalisti ucraini ci mostrano cosa l’Ucraina ha perso e guadagnato dopo questo anno di guerra su vasta scala. Stiamo cambiando, ed ecco come: buona lettura!

Anton Semyzhenko, caporedattore di questa settimana


Il conflitto ha cambiato anche la fede

Un tempio ortodosso di Kiev ancora fedele a Mosca, conosciuto come “il chiosco”, è destinato a essere demolito. Alle sue spalle c’è il Museo storico nazionale dell’Ucraina. Il museo ha intentato una causa contro il tempio, costruito illegalmente nel suo cortile. Foto: tsn.ua.

KIEV – Nelle città ucraine molte cose possono avvenire contemporaneamente alle nove di mattina della domenica. Le funzioni religiose hanno inizio. Gli altoparlanti annunciano un minuto di silenzio in tutta la nazione per i caduti in guerra. Su una chat online viene mandato il seguente messaggio: «Missili russi potrebbero essere presto lanciati dalla regione del mar Nero». La mattina del 19 febbraio le campane delle chiese risuonano sulle colline di Kiev. Mi trovo in piedi accanto a un tempio a pochi passi dai resti dell’antica chiesa delle Decime, che fu distrutta nel 1240 quando il sovrano mongolo Batu Khan prese d’assalto Kiev. Allora, il popolo cercò rifugio all’interno della chiesa, sperando che le mura di pietra consacrate lo avrebbero protetto.

L’Ucraina è un paese laico, in cui la chiesa è separata dallo stato. Ma il ruolo della religione non va sottovalutato. Secondo i sondaggi, il 44 per cento degli ucraini ha fiducia nella chiesa. Dopo un anno di guerra su vasta scala, però, tale fiducia si è ridotta: ora riponiamo più fede nel nostro esercito che in Dio.

Il suono delle campane si spande lontano nell’aria invernale. Diverse persone si raccolgono per pregare: donne anziane, una coppia con un bambino piccolo, una donna in bicicletta. Un’immagine idilliaca, se l’osservatore non sapesse che questo minuscolo tempio, chiamato dai giornalisti ucraini “chiosco” per via delle dimensioni e della posizione infelice, dovrà essere demolito molto presto per un’ingiunzione del tribunale: il tempio è stato costruito senza i permessi necessari. Inoltre, questa chiesa fa parte di un monastero appartenente alla Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca, che rimane fedele alla Russia. I preti pregano per l’unità e per i prigionieri, in russo: pare mentano a Dio, senza ritegno.

«Forse saremo atei, ma siamo atei del patriarcato di Kiev», scherzano i miei amici. Sebbene non siano veramente religiosi, ciò dimostra il loro atteggiamento politico. Nel 2019, dei preti ortodossi ucraini hanno fondato l’indipendente Chiesa ortodossa dell’Ucraina (OCU), che sta pian piano diventando la principale chiesa ucraina. A pochi minuti a piedi dal “chiosco” c’è una chiesa dell’Ocu, il monastero dorato di san Michele. Giunta lì, ascolto il sermone in piedi tra dozzine di persone. Davanti a me,un giovane con l’uniforme dell’esercito ucraino. Sulle pareti, i ritratti delle vittime della guerra, a partire dai giustiziati durante la rivoluzione della Dignità del 2014. A volte, la scelta di dove pregare non dipende solo dal Dio.

Olha Perekhrest è laureata in Scienze religiose e scrive per The Ukrainians


Il numero della settimana: 18%

KIEV – Per il 2022, la crescita prevista del bilancio della città di Mariupol era del 18 per cento. Prima della guerra su vasta scala, la città portuale era una delle città più ricche dell’Ucraina: le tasse pagate dalle industrie del luogo hanno aiutato a creare un’economia locale prosperosa.

Questo denaro era stato stanziato per la costruzione di un nuovo parco e di un centro intermodale, e per il finanziamento di festival dedicati alla musica classica, alla letteratura e all’arte moderna.

Grazie alla sua fiorente scena artistica, Mariupol ha ricevuto il titolo di capitale ucraina della cultura nel 2021. Deliziosi frutti di mare provenienti dal mar d’Azov e specialità preparate dalle oltre ventimila persone della minoranza greca hanno anche reso Mariupol una meta per gli amanti del cibo.

Hanna Prokopenko è stata la corrispondente da Mariupol della Hromadske Radio, ora continua a lavorare per l’emittente dai territori non occupati dell’Ucraina


Il tramonto degli oligarchi

Una retata anti oligarchi

KIEV – La guerra su vasta scala ha alterato la struttura di potere in Ucraina, sferrando un colpo micidiale all’élite ricca e dotata di agganci in politica. «Oggi questo gruppo – gli oligarchi – non ha più influenza sulla politica, sull’economia o sui media», ha detto in una recente intervista Oleksii Danilov, il segretario del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale dell’Ucraina.

Verso la fine del 2021, il presidente Volodymyr Zelensky ha reso ufficiale il termine colloquiale “oligarca” tramite la firma di una legge contro gli oligarchi, in cui li si definisce come persone ricche, con un patrimonio netto di oltre 80 milioni di dollari e influenza sia sui media che in politica.

Molti hanno pensato che sarebbero serviti anni per ridurre il potere degli oligarchi, invece alcuni giorni sono bastati. Poco tempo dopo l’inizio dell’aggressione russa del 24 febbraio 2022, le emittenti televisive, alcune delle quali appartengono agli oligarchi, sono state incorporate con la forza in una maratona giornalistica televisiva controllata dal governo e in onda ancora oggi. Lo stesso giorno, il Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale dell’Ucraina ha imposto la legge marziale, con il presidente che diventava detentore unico del potere.

Sono molti gli oligarchi che stanno perdendo le proprie ricchezze e le proprie risorse per via degli attacchi russi e del consolidamento del potere da parte del governo. Due importanti oligarchi, Ihor Kolomoiskyi e Konstyantyn Zhevaho, che stanno affrontando problemi legali sia in Ucraina che all’estero, sono stati privati dalle autorità di alcune risorse. Tra queste, le compagnie energetiche Ukrnafta e Ukrtatnafta, e l’azienda automobilistica AutoKraz. Prima, la raffineria di petrolio di Kremenchuk, appartenente a Kolomoiskyi, era stata distrutta dai missili russi a maggio. Due mesi dopo, il presidente ha revocato la cittadinanza ucraina a Kolomoiskyi. L’oligarca Rinat Akhmetov ha perso gran parte delle ricchezze accumulate prima della guerra (7,6 milioni di dollari) dopo che la Russia ha razziato il Donbass di cui è originario e dove si concentravano le sue risorse. Tra esse, l’acciaieria di Mariupol, con una produzione annuale di 8,6 milioni di tonnellate, il 90 per cento della produzione di acciaio della sua holding. A giugno, Akhmetov ha chiuso la sua compagnia mediatica, la più grande del paese.

Secondo Forbes Ukraine, le venti persone più ricche dell’Ucraina hanno perso 20 miliardi di dollari nel 2022. Tuttavia, è troppo presto per trarne conclusioni sul lungo termine, dice Oleksandr Lemenov, cofondatore dell’ong StateWatch. «La guerra ha colpito solo gli interessi economici di alcuni oligarchi, niente di più», dice Lemenov. «L’oligarchia verrà “uccisa” da una democrazia solida, una forte classe media e stabili istituzioni politiche».

Oleksii Sorokin è cofondatore e caporedattore di The Kyiv Independent


La speranza guarda a ovest

KIEV – Schegge di vetro incastonate in oro: immagini di queste spille da giacca sono diventate virali a metà febbraio, quando una delegazione ucraina ha presentato questi accessori unici durante la conferenza “Ukraine out of Blackout” (“Ucraina fuori dal blackout”) di Parigi.

Il vetro proviene dalle finestre del museo Khanenko di Kiev, che sono andate in frantumi per via di un’esplosione quando i russi hanno bombardato il centro della città con i missili lo scorso ottobre.

Le spille, realizzate dal museo, sono diventate opere d’arte esse stesse, oltre a essere un simbolo della sofferenza che l’Ucraina ha dovuto subire per catturare l’attenzione del mondo. Una di queste spille è stata consegnata a Audrey Azoulay, direttrice generale dell’Unesco.

Trovandoci di fronte al tentativo della Russia di cancellare l’eredità e la cultura ucraina, è di vitale importanza che il mondo agisca in maniera preventiva al fine di preservare le risorse più preziose dell’Ucraina. Se il paese viene protetto nella sua interezza, lo è anche la sua cultura.

Le pareti del museo Khanenko, che solitamente ospitano la collezione di arte da tutto il mondo più grande dell’Ucraina, ora sono vuote. A differenza di centinaia di istituzioni in altre regioni dell’Ucraina, gravemente saccheggiate e bombardate, il museo ha trasferito le proprie opere d’arte in luoghi sicuri.

Kseniya Kharchenko fa parte di PEN Ukraine e lavora al programma Documenting Ukraine presso l’Istituto di Scienze Umane di Vienna


Dalla statua di Lenin alla “metro Varsavia”

Demolizione del monumento al pilota sovietico Valerij Čkalov a Kiev, 8 febbraio. Nato in Russia, durante la sua vita Čkalov non ha avuto alcuna connessione con l’Ucraina. Foto: Amministrazione statale della città di Kiev.

KIEV – A Zaporizhzhia, dove sono nata e cresciuta, c’era la cosiddetta “riserva di Lenin”. Corso Lenin finiva in piazza Lenin, dove c’era il monumento a Lenin che indicava il porto fluviale e la centrale idroelettrica, entrambi dedicati a Lenin. Non c’era logica in tutto ciò: è stato durante la prima Urss che Zaporizhzhia ha subito una ristrutturazione in chiave moderna, e a quel tempo molte cose venivano chiamato con il nome da Lenin.

Con l’inizio della decomunizzazione dell’Ucraina nel 2015, le insegne con il nome di Lenin sono iniziate a sparire gradualmente. L’ultima è stata quella della galleria d’arte “Lenin” nei pressi della “riserva di Lenin”. La galleria si prendeva gioco della presenza di Lenin nella città, e ha smesso di esistere nel 2020 con la morte del fondatore. Ora non c’è quasi più traccia di Lenin a Zaporizhzhia.

Qualche settimana fa a Kiev è stato demolito un monumento al generale Nikolaj Vatutin, un comandante dell’Armata rossa nato in Russia che aveva liberato la città dai nazisti.

Un anno fa, molte persone erano contrarie alla sua rimozione. Ora non si oppone praticamente più nessuno. Persino a Odessa, che era considerata amichevole nei confronti della Russia, è stato recentemente demolito un monumento all’imperatrice del diciottesimo secolo Caterina la Grande. Solo un anno fa nessuno si sarebbe immaginato una cosa del genere.

L’invasione russa in Ucraina ha modificato radicalmente l’atteggiamento nei confronti di qualsiasi cosa abbia a che fare con la Russia. I monumenti a personaggi russi stanno scomparendo, i nomi delle vie vengono modificati e spesso riprendono quelli storici, mostrando quanto l’impero russo e l’Urss abbiano radicato la cultura russa in ucraina. Ora, gli ucraini, di cui la maggior parte è bilingue, stanno abbandonando la lingua, la musica, la letteratura e il cinema della Russia.

Il desiderio di Putin di riscrivere la storia ucraina e dipingere l’Ucraina come una parte della Russia ha avuto l’effetto contrario. E ciò non può essere fermato, neanche se la guerra finisse domani.

Ora vivo a Kiev, non molto lontano dalla stazione della metro “Minska”, che prende il nome dalla capitale bielorussa. Presto verrà rinominata, probabilmente prenderà il nome da Varsavia.

Questa stazione si trova sulla strada che porta in Bielorussia, da dove i carri armati russi sono avanzati verso Kiev a febbraio. Ed è stata proprio questa forza d’invasione a mandare in mille pezzi tutto quello che ancora c’era di russo in Ucraina.

Yuliana Skibitska si occupa di società per Babel.ua


Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva info@europeanfocus.eu se vuoi mandarcela in inglese, oppure a francesca.debenedetti@editorialedomani.it
Al prossimo mercoledì! Francesca De Benedetti


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

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