«La mancanza di chiarezza sulle regole di funzionamento della Pontificia commissione per la tutela dei minori è la zona grigia in cui può verificarsi l’insabbiamento degli abusi». Hans Zollner, durante una conferenza stampa alla Sala stampa estera  a Roma il 17 aprile ha spiegato la sua decisione, ufficializzata il 29 marzo scorso, di dimettersi dalla commissione contro gli abusi vaticana. La scelta di lasciare questo organismo, espressamente voluto da papa Francesco nel 2014, è stata determinata da «problemi strutturali».

«Non c’era trasparenza sui punti chiave: responsabilità, compliance e trasparenza. Senza chiarezza sui ruoli non si capisce infatti di chi sia la responsabilità delle decisioni. Questo è un problema, ed è successo troppo spesso nella chiesa».

Il gesuita ha denunciato anche l’opacità del percorso decisionale e dell’uso dei fondi. «Un tempo i membri portavano avanti le questioni di contenuto, ora devono eseguire i compiti che la commissione affida loro», ha aggiunto Zollner. Non solo: «Nemmeno la nomina dei membri è stata trasparente, perché uno dei designati faceva parte dello stesso comitato di selezione dei candidati. Non ho nulla contro le singole persone, ma non sono stati spiegati i criteri di questa scelta».

La commissione e il dicastero

Un anno fa, inoltre, con la Costituzione apostolica Predicate Evangelium, papa Francesco aveva formalmente inserito la commissione nella curia romana, e precisamente nell’ambito del dicastero per la Dottrina della fede. Zollner non ha nascosto le sue perplessità: «Non capisco come possa funzionare», ha commentato, «il dicastero è un tribunale mentre la commissione è un organo di difesa delle vittime: è come mettere in un tribunale statale l’associazione degli avvocati».

Zollner ha sostenuto di aver provato diverse volte a manifestare i suoi dubbi alla commissione prima di dimettersi, ma di non aver mai ottenuto una risposta. «C’è chi mi ha suggerito di non dire niente in pubblico, ma per me questo è confondere discrezione con insabbiamento», ha aggiunto il gesuita, «se qualcuno si è sentito offeso dalla mia decisione mi dispiace, ma non cambia la mia valutazione: chi pensa che io abbia sbagliato deve confutare nel merito le mie critiche».

Il riferimento è innanzitutto al cardinale Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston e presidente della commissione che, in seguito alle dimissioni di Zollner, si era detto «sorpreso, deluso e in forte disaccordo con le sue affermazioni pubbliche, che mettono in discussione l’efficacia della commissione».

Gli altri fuoriusciti

Il gesuita non è comunque il primo a lasciare la commissione: ad andarsene, negli anni scorsi, erano state in primo luogo proprio le vittime. Nel febbraio 2016 si era infatti dimesso Peter Saunders e nel marzo dell’anno successivo l’irlandese Marie Collins, che aveva denunciato la resistenza, se non addirittura il boicottaggio della curia vaticana. Nel 2018 aveva lasciato anche la neuropsichiatra infantile francese Catherine Bonnet, specializzata in violenze sessuali su minori, dopo aver inutilmente insistito sulla necessità di dare voce ai sopravvissuti. In questo momento, dei venti membri della commissione (gli ultimi dieci sono stati nominati dal papa lo scorso settembre), l’unica vittima di abusi clericali è il giornalista cileno Juan Carlos Cruz.

Un punto dolente l’assenza dei sopravvissuti perché, come ha detto lo stesso Zollner ai giornalisti, «le vittime continuano a dire che non si sentono ascoltate: e se la chiesa non serve agli ultimi, ai feriti, non ha senso».

«Responsabilità, compliance e trasparenza: queste parole sono estranee alla nostra cultura, perché nella chiesa siamo abituati a stare nel silenzio», ha aggiunto. «Non è questione di liberali o conservatori, ho visto progressisti che nascondevano abusi». Interpellato sul caso Rupnik, ha detto di non essere stato al corrente del procedimento canonico nei suoi confronti fino allo scorso giugno. «Quando ho ricevuto la lettera di una delle vittime, avrei dovuto rispondere – ha ammesso – non l’ho fatto perché era indirizzata al padre generale dei gesuiti e io ero soltanto una delle 17 persone a cui veniva mandata per conoscenza. È stato un errore, ma non avrei potuto comunque entrare nel merito del procedimento in corso, di cui non sapevo e non so nulla. Non ho mai parlato con Rupnik di persona».

Hans Zollner è direttore dell’Istituto di Antropologia, studi interdisciplinari sulla dignità umana e sulla cura dei vulnerabili alla Gregoriana (fino all’aprile 2021 Centro per la protezione dei minori), e dal 2 marzo è anche il  nuovo consulente per il Servizio per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili della diocesi di Roma.

© Riproduzione riservata