L’avvocato Athanasios Rantos ha detto no. E così facendo ha inferto un colpo forse definitivo alle ambizioni di costituire una Superlega del calcio europeo per club. Classe 1953, nazionalità greca, giurista di assoluto livello, Rantos occupa da settembre 2020 il ruolo di avvocato generale della Corte di giustizia europea. E in questo ruolo è stato chiamato a esprimere un parere sul ricorso presentato da A22 Sport Management, la società di diritto spagnolo che dovrebbe promuovere la manifestazione. Da parte di A22 era giunta la richiesta di valutare se i regolamenti di Fifa e Uefa, (soprattutto quest’ultima) in quanto organizzatrici delle manifestazioni sportive internazionali sul suolo europeo, fossero compatibili con le regole comunitarie sulla concorrenza, o se piuttosto non sussistessero le condizioni di un abuso di posizione dominante.

Fate pure, se potete

La risposta è stata impietosa per le ambizioni liberiste della società spagnola e dei suoi soci fondatori: Fifa e Uefa svolgono legittimamente la loro funzione, non vi è abuso. Con un’aggiunta che sa quasi di beffa, laddove si dice che la Superlega è libera di organizzare una competizione al di fuori della giurisdizione di Fifa e Uefa, ma i soggetti che la compongono non possono continuare a partecipare alle competizioni di Fifa e Uefa se queste non hanno autorizzato le competizioni scissioniste.

Messaggio chiaro: organizzatevi pure i vostri tornei se ne avete la forza, ma rimarrete fuori dalla struttura istituzionale del calcio se da questa non vi giunge un riconoscimento.

Il distinguo non è di poco conto e proprio su esso si gioca la battaglia giuridica dei superleghisti. Che dopo quel tentativo di golpe da operetta da parte di 12 club (Arsenal, Atlético Madrid, Barcellona, Chelsea, Inter, Juventus, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Milan, Real Madrid e Tottenham Hotspur), avvenuto ad aprile 2021 e abortito in nemmeno 72 ore, si opponevano proprio alle minacce dell’Uefa di mettere fuori gioco tutti i club e tutti i calciatori che partecipino a una competizione scissionista.

Una minaccia che ha messo a nudo la contraddizione più forte del progetto superleghista, la sua volontà di mantenere il piede in due staffe: farsi la competizione propria e sfruttarne ritorni economici che si immagina esorbitanti, ma rimanere agganciati al treno delle manifestazioni organizzate sotto l’egida di Uefa e Fifa. E in questo senso la mira era puntata soprattutto su Europei e Mondiali.

I tre club superstiti che si ostinano a tenere in piedi la Superlega (Barcellona, Juventus e Real Madrid) hanno provato a sfidare i divieti e le minacce di messa al bando.

Andrea Agnelli, fresco di dimissioni da presidente della Juventus, in attesa di conoscere il suo destino giudiziario, incassa una cocente sconfitta. E aggiunge al suo curriculum l’errore di aver voluto sposare un progetto che, fin dall’inizio, ha mostrato la sua debolezza di fondo.

Perché sia i tre superstiti sia i nove desistenti sono sempre stati consapevoli di non avere la forza (e forse nemmeno la convenienza) di staccarsi del tutto dalla struttura istituzionale del calcio e da tutti i benefici che ne derivano. Di questo limite è consapevole soprattutto l’amministratore delegato di recente nomina della A22 Sports Management, il tedesco Bernd Reichart, che infatti sta provando a riplasmare la strategia puntando sul dialogo con l’Uefa anziché sullo scontro.

La sentenza Bosman

Il passaggio finale del parere, sintetizzato nel comunicato stampa pubblicato sul sito web della Corte di giustizia, usa parole che inceneriscono le ambizioni superleghiste: «L’avvocato generale è infine del parere che, nonostante il fatto che le regole in questione, che stabiliscono che una nuova competizione europea per club sia soggetta a un preventivo schema di approvazione, possano essere restrittive per le disposizioni del trattato Ue relativamente alle libertà economiche fondamentali, queste restrizioni possono essere giustificate dai legittimi obiettivi correlati con la specifica natura dello sport. In questo contesto, la richiesta di uno schema di preventiva approvazione si può rivelare appropriata e necessaria per questo scopo, tenuto conto delle particolari caratteristiche della competizione progettata».

Dunque, se A22 e i residui club che la compongono speravano che il parere dell’avvocato generale desse loro speranze, devono incassare una batosta. Va aggiunto che il parere non è vincolante rispetto alla sentenza che la Corte dovrà pronunciare nella prossima primavera, ma certamente influirà. Soprattutto esso testimonia che in ambito di istituzioni comunitarie il clima, relativamente al rapporto fra sport e mercato, è totalmente cambiato. E a farlo notare è la curiosa coincidenza con un anniversario.

Il 15 dicembre del 1995, cioè 27 anni fa, la Corte di giustizia pronunciava la sentenza Bosman, da cui è giunto un terremoto per lo sport professionistico europeo con affermazione di enormi libertà di mercato.

Invece il 15 dicembre 2022 il parere legale dell’avvocato generale dice che il mercato deve arrestarsi sulla linea della specificità dello sport. Un’inversione a U che segna un mutamento culturale netto. E che sollecita i club scissionisti a curarsi di pagare i debiti e darsi regole di gestione compatibili, anziché provare un’improbabile exit strategy ma senza avere la forza di uscire sul serio.

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