Mondi paralleli. Da una parte c’è lo “scandalo del Qatar”, che si allarga di giorno in giorno e sta minando seriamente la capacità di auto sorveglianza delle istituzioni europee. E dall’altra c’è Qatar 2022, il Mondiale anomalo che comunque lascerà un segno e rimarrà nella memoria come una manifestazione che ha cambiato la storia del calcio al pari del nostro modo di raccontarlo e percepirlo. Ma quel racconto è già minato dall’innaturale scissione, dall’incapacità di ricondurre il tutto sotto un registro unico. 

Si dovrebbe azzardare, sperimentare nuovi linguaggi che in parte sono già in fase di elaborazione. Perché se davvero Lionel Messi «dribbla pure i cammelli del deserto» per offrire l’assist del terzo gol in semifinale e intanto una vicepresidente dell’Europarlamento alza a dismisura la soglia del contante, allora siamo già oltre.

Questa non è più la realtà, questo è Guy Debord che si è impossessato delle nostre vite e minaccia di tenerle in ostaggio per il proprio trastullo. Il golpe dell’Internazionale situazionista realizzato senza sparare un colpo e con tutti noi volenterosi carnefici della verità, sacrificata all’estetica senza il minimo rimorso per il modo con cui abbiamo lasciato che dell’etica venisse fatta pubblica esecuzione con revolverata alla nuca.

Palloni e cinepanettoni

Tutto quanto è double face, ogni cosa è ciò che appare senza essere. E dalla lettura dei giornali come dal videoascolto dei notiziari ne abbiamo conferma ripetuta.

Apri lo sfoglio con lo scandalo delle mazzette che sarebbero servite a un’operazione di lobbying e ripulitura dell’immagine dell’emirato, poi arrivi in fondo e trovi le cronache sui prodigi esibiti dagli eroi del pallone globale. Lo scandalo e la festa, uno apre e l’altra chiude. Come se non ci fosse alcun legame. Quasi a conferma che il Qatar, con quei soldi contanti, sia veramente riuscito a ripulire la propria immagine.

Eppure è tutto parte di unico show. Coraggio, osate. E se proprio volete insistere a tenere le due cose innaturalmente separate, allora riesumate gli espedienti di stampa che si usavano una volta. Tipo quei libri che per metà venivano letti in un verso, ma che per essere fruiti nell’altra metà andavano capovolti e letti con sfoglio che per la prima metà risultava contrario.

Di qua ci sono i protagonisti della presunta corruzione, che l’hanno fatta grossa ma non riescono a sottrarsi a quel tono da commedia dell’arte post moderna che li rende tanto simili ai personaggi da cinepanettone. Di là ci sono i divi del calcio, quelli che di occuparsi sul serio dei diritti di chi ha costruito i loro palcoscenici se ne infischiano, e che se anche provano ad alzare la voce vengono immediatamente rimessi in riga con la minaccia di cartellino giallo. E mica hanno le stimmate dell’eroe, che diamine! Prendetevelo voi il rischio di andare in diffida senza nemmeno avere battuto il calcio d’inizio.

The Qatarian Candidate

In fondo siamo pure fortunati. Perché da questa parte del mondo possiamo almeno permettercelo. un barlume di verità, benché a patti di frantumarlo nel miscuglio dello show come fosse il ghiaccio del mojito. Altrove non c’è nemmeno quello.

Per esempio proprio nel Qatar medesimo, dove di tutto il casino che proprio loro hanno fatto scatenare non si parla minimamente. Una non notizia, roba che non li tange. Il deserto del reale, direbbe Slavoj Žižek. E mai definizione fu più appropriata. In fondo, loro hanno fatto soltanto ciò che meglio hanno imparato a fare: mettere sul piatto una quantità esagerata di denaro.

Comprano tutto, pure il loro diritto a infischiarsene di cosa quel denaro provocherà. “Ma quanto la fanno lunga questi europei con ‘sta storia della corruzione, e che sarà mai?”. E dal loro punto di vista hanno pure ragione. Se li vedono arrivare in codazzo, col cappello in mano, ma poi li odono frignare se le cose non rispettano degli standard formali. E il denaro elargito allora cosa è, forma o sostanza?

Il dilemma ci taglia in due, intanto che lo strabismo ci coglie nel tentativo di seguire lo scandalo Qatar e Qatar 2022. E impegnati come siamo a separare ciò che è unito perdiamo di vista un altro pezzo di realtà annegata nello show: quella narrazione sulle virtù dell’emirato come nazione che promuove i diritti umani, che avanza nella tutela dei diritti civili, che diventa un faro contro il nostro pregiudizio occidentalista.

Un mantra che abbiamo sentito intonare dal presidente della Fifa, Gianni Infantino (che infatti nulla dice sullo scandalo scoppiato a Bruxelles), come dalla (ex) vicepresidente dell’Europarlamento, Eva Kaili. E non soltanto da loro. Perché a dare voce a questo coro sono stati in tanti, e tutti a dire la stessa cosa. Esattamente come nel film The Manchurian Candidate, dove tutti i commilitoni del futuro presidente Usa davano la medesima versione dei fatti con la medesima sequenza di parole. Ci mancava proprio, questo Qatarian Candidate. Tutto gratis, che tanto paga Doha.

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