L’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, oggi detenuto a Rebibbia, ha scritto una lettera al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per denunciare le condizioni degli istituti penitenziari italiani. La missiva, firmata insieme al detenuto di lungo corso Fabio Falbo, punta ad accendere un faro in particolare sulle preoccupanti dimensioni raggiunte dal fenomeno del sovraffollamento delle carceri, che rischia di trasformare la detenzione in un calvario ai limiti del rispetto della dignità umana.

La lettera

«Le stiamo scrivendo perché vogliamo sensibilizzare le istituzioni e l'opinione pubblica sull'attuale situazione carceraria, che a noi, e non solo a noi, appare insostenibile e contraria ai dettati costituzionali». Si apre così la lettera, di quasi cinque pagine, in cui Alemanno e Falbo sottolineano i problemi strutturali del sistema carcerario italiano a partire da quello del sovraffollamento dei penitenziari e da tutti i problemi collaterali che esso comporta. «Le vogliamo indicare – si legge nella lettera – quelle che secondo noi sono le priorità per far fronte al sovraffollamento negli istituti di pena e, in particolare, alla situazione tragica delle morti, dei suicidi, dell'assistenza sanitaria inadeguata».

In merito al sovraffollamento delle carceri, i due detenuti a Rebibbia evidenziano che «tutte le strutture penitenziarie italiane sono al collasso con tassi di sovraffollamento di oltre il 150 per cento» e sottolineano che, nonostante una situazione ormai insostenibile, «gli Uffici di sorveglianza continuano a rigettare i reclami per l'applicazione dello sconto del 10 per cento di pena conseguente alla violazione dell'art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, come risarcimento per le condizioni di detenzione contrarie al senso di umanità».

Basterebbe, secondo gli autori, un intervento legislativo per «rendere automatico questo sconto di pena per tutte le persone detenute recluse in carceri dove si registra un sovraffollamento superiore al 100 per cento».

Sulla detenzione domiciliare per gli anziani, Alemanno e Falbo fanno notare che gli Uffici di sorveglianza non tengono conto della sentenza n. 56/2021 della Corte costituzionale che ha stabilito che i condannati che hanno più di settant'anni possono beneficiare della detenzione domiciliare. «In realtà qui a Rebibbia sono diversi gli ultraottantenni, anche non recidivi, che continuano a vedersi rigettare le loro richieste di accedere a questa misura».

Nel finale Alemanno e Falbo evidenziano come, a loro avviso, non siano necessari interventi eclatanti ed emergenziali, ma un impianto legislativo solido che possa costituire la base per un cambio di rotta definitivo. «Quando si parla di intervenire contro il sovraffollamento delle carceri – scrivono – si pensa subito a provvedimenti emergenziali come l'indulto e l'amnistia, che sono ovviamente la via più semplice e immediata per ridurre in modo significativo la popolazione carceraria, ma anche provvedimenti meno drastici potrebbero dare un forte contributo in questo senso, riducendo il carico di lavoro e quindi i ritardi e i dinieghi spesso incomprensibili della Magistratura di sorveglianza». 

«Le persone detenute – chiosano Alemanno e Falbo – sono un pezzo della società e sono un pezzo vulnerabile della stessa, come tante volte ci ha ricordato il compianto papa Francesco. Compiere un atto di riconoscimento delle condizioni insostenibili in cui vivono queste persone non vuol dire cedere a una tentazione permissiva contraria al principio della certezza della pena. Significa solo compiere una necessaria conciliazione tra questo principio e quello della finalità rieducativa della pena previsto dall'art. 27 della nostra Costituzione».

La risposta del garante

La replica ai due detenuti è arrivata dal garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, che nella sua risposta sottolinea l’importanza della lettera scritta da Falbo ed Alemanno perché «interpretano i disagi che vivono molti dei loro compagni di detenzione». 

«Nel Lazio l'affollamento è al 142 per cento contro una media nazionale del 130. Bene quindi proporre l'ampliamento della liberazione anticipata, come fanno Alemanno e Falbo, sulla scia della pdl Giacchetti, ma non basta. Quella proposta, del resto, riguarda chi è in esecuzione della pena ed è limitata rispetto alle necessità attuali. Serve un intervento più deciso. Serve un indulto di due anni – prosegue il Garante – una misura che sarebbe sufficiente a cancellare il sovraffollamento e di conseguenza consentire al personale di polizia e alle figure professionali di lavorare meglio. Solo così il sistema ricomincerebbe a funzionare come si deve».

L’ennesimo suicidio

Giovedì nel carcere di Terni un detenuto italiano, in carcere per reati contro la famiglia e in cella con un connazionale, si è tolto la vita. Si tratta del ventiduesimo suicidio accertato nei primi tre mesi del 2025, un dato particolarmente allarmante.

«Con l'ennesimo suicidio di un detenuto nel carcere di Terni si ha la conferma della sconfitta della civiltà giuridica del sistema carcerario italiano», ha commentato il Garante dei detenuti dell'Umbria, Giuseppe Caforio. «Questa ennesima morte è sulla coscienza di tutti e le istituzioni hanno l'obbligo prima morale e poi giuridico di dare immediate risposte».

© Riproduzione riservata