Un colpo di pistola alla tempia, una lettera di tre pagine lasciata sul comodino, un diario segreto, l’editore che voleva comprarsi pure la sua anima. Aveva appena fatto quarant’anni, si sentiva sconfitto in una Calabria devastata non solo dalla ‘Ndrangheta ma dall’oscenità del potere. Così è morto Alessandro Bozzo, giornalista.

È una storia spaventosa che in Italia conoscono ancora in pochi. Non ce la faceva più, non vedeva una luce. Sposato, una bambina, una stanchezza di vivere che si è consumata lentamente a Cosenza in una redazione, quella di Calabria Ora. Costretto ad accettare una modifica contrattuale, a firmare le dimissioni dal posto a tempo indeterminato, a subire la riduzione dello stipendio.

Era terrorizzato dall’eventualità di un trasferimento o - peggio - di un licenziamento. Così, la sera del 15 marzo del 2013, Alessandro si è suicidato. Era convinto che la prima testa a cadere in quel giornale sarebbe stata la sua, l’editore l’aveva trasformato da redattore a precario.

Da giornalista a precario

Dopo vent’anni passati lì dentro non aveva quasi più nulla. Si isola, tutti i pensieri li consegna al diario dove ripercorre ogni tappa professionale della sua vita. Gli inizi in un paio di emittenti televisive calabresi, poi l’assunzione a Calabria Ora, le prime inchieste sui boss, la crisi del giornale quando il direttore se ne va portandosi dietro una mezza dozzina di colleghi.

L’editore, nel frattempo, viene condannato per usura. Tutto maniacalmente riportato pagina dopo pagina, nome dopo nome. Alessandro Bozzo non sta più bene in redazione, è a disagio, ha incubi, il suo giornale non è più quello di una volta. Ma ha un mutuo da pagare, una famiglia da mantenere, una bimba piccola, di quattro anni.

Fino a quando, un giorno, decide di sottostare a quella che lui stesso definisce “un’estorsione”. Gli propongono di dimettersi, gli promettono che lo riassumeranno ma con lo stipendio ridotto a metà e con un altro contratto: a scadenza. Intanto lo pagheranno a pezzo, quattro centesimi a riga. Gli crolla il mondo addosso. Scrive: «È stato umiliante... è un fatto che sono fuori o comunque sotto ricatto».

Il suo diario è stato pubblicato in un bel libro scritto dal giornalista siciliano Lucio Luca (L’altro giorno ho fatto quarant’anni, Laurana Editore) che ricostruisce il calvario di Alessandro: «Credo che prenderò in considerazione soluzioni alle quali soltanto sei mesi fa non avrei neanche pensato..non so nemmeno io che cosa voglia dire. O forse sì ma cerco di nasconderlo anche a me stesso. Mi chiudo in casa, accendo la tv, non la guardo nemmeno. Prendo una birra, fumo una sigaretta, sfoglio le ultime pagine del mio diario. Rivivo l’inferno. Qualcuno mi cerca, lascio che il telefono squilli a vuoto, non rispondo nemmeno agli sms. Ho deciso».

L’editore condannato

È il conto alla rovescia. Dalle pagine affiora la tragedia di un giornalista, il suo carattere, le relazioni affettuose con i colleghi, le difficoltà di fare il mestiere sino in fondo in una città ostile, Cosenza, dove lui stesso racconta che non c’è solo ‘Ndrangheta ma ci sono anche uomini politici assetati di denaro e imprenditori corrotti.

I genitori di Alessandro denunciano la vicenda. Il diario del giornalista è  acquisito dal tribunale ed è stato decisivo per la condanna dell'editore di Calabria Ora Pietro Citrigno a 4 anni e 15 giorni di reclusione, sia in primo grado che in appello.

Il reato: violenza privata. Le motivazioni dei giudici: «Nel caso in esame è configurabile il reato di violenza privata atteso che il comportamento posto in essere dall’imputato ha limitato la libertà di autodeterminazione della vittima. L’accettazione delle condizioni contrattuali peggiorative è stato il risultato di una situazione di costrizione».

E ancora: «Pur in assenza di una minaccia espressa o esplicita, era logico che la mancata accettazione di dette condizioni avrebbe comportato la cessazione della sua attività lavorativa presso il giornale e che, pertanto era idonea a suscitare in Alessandro la preoccupazione di un danno ingiusto».

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