È di quattro anni la condanna inflitta ad Alice Brigoli, la foreign fighter che nel 2015 si è arruolata tra le fila dell’Isis in Siria. Processata con il rito abbreviato è stata giudicata colpevole di associazione a delinquere con finalità di terrorismo.

Dopo mesi di interrogatori in cui non ha deciso di collaborare alle indagini, la 42enne di Lecco è stata anche interdetta per cinque anni dai pubblici uffici e costretta a pagare cinquemila euro a titolo provvisionale ai suoi quattro figli minori. Quest’ultimi sono rientrati con lei dalla Siria nel settembre scorso dopo che i carabinieri del Ros li avevano intercettati all’interno del campo profughi di al Hol, una sorta di prigione a cielo aperto al confine tra Siria e Iraq dove si trovano le moglie e i figli dei combattenti dello stato islamico.

I pm Alberto Nobili e Francesco Cajani dell’antierrorismo della procura di Milano avevano chiesto al giudice per le indagini preliminari, Daniela Cardamone, di condannare Brignoli a cinque anni di carcere, ma si sono dovuti accontentare di quattro.

Attualmente la foreign fighter è detenuta all’interno del carcere di Piacenza, mentre i suoi figli si trovano in una struttura protetta. Il curatore speciale è riuscito a ottenere il pagamento di cinque mila euro per ogni figlio, ma non si escludono ulteriori risarcimenti in sede civile.

La radicalizzazione e il pentimento

La donna si è convertita all’Islam e insieme al marito ha iniziato un processo di radicalizzazione a partire dal 2009. Entrambi spuntano nelle indagini della procura di Milano che portarono all’arresto di Abderrahim Moutaharrik, conosciuto come «il pugile dell’Isis», della moglie Salma Bencharki oltre a Abderrahmane Khachia e Wafa Koraichi, sorella di Mohamed, il marito di Alice Brignoli.

Sembra una storia lontana, visto che il pm Nobili ha detto ai giornalisti che la donna sta affrontando un percorso di cambiamento: «Ha detto semplicemente “io non sono più la donna che ero da 15 anni a questa parte, non farei più quello che ho fatto, però ho bisogno di seguire un percorso, che sto seguendo e in questo sono molto aiutata dai rapporti con i miei 4 figli” che quotidianamente le è consentito di chiamare». Il procuratore ha aggiunto: «Il rapporto con i figli è un fattore di grande aiuto per questo suo recupero di una identità che secondo le sue stesse parole “era stata smarrita per strada”».

La donna si è detta soddisfatta anche della buona riuscita delle indagini che l’hanno permessa di tornare in Italia, una scelta importante per il suo futuro e quello dei suoi figli.

Leggi anche il reportage dal campo di al Hol:

© Riproduzione riservata